Responsabilità aggravata. Non serve l’elemento soggettivo

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Responsabilità aggravata. Non serve l’elemento soggettivo

Il giudice può condannare per responsabilità aggravata ex art. 96 comma 3 c.p.c., anche senza valutare l’atteggiamento psicologico della parte, ma solo la sua condotta processuale oggettiva.

Condotta processuale da valutare oggettivamente

In altri termini, il giudice, nell’applicare la fattispecie di cui all’art. 96 comma 3 c.p.c., non è più tenuto a svolgere complessi e delicati apprezzamenti circa la colposità o negligenza della condotta della parte o del suo difensore. Deve invece limitarsi a valutare “oggettivamente” la sussistenza di un abuso del processo, quale emerge dagli atti processuali e dal loro contenuto.

Incorrono, perciò, in responsabilità per abuso del processo, coloro che abbiano proposto domande od eccezioni o formulato difese macroscopicamente infondate sia sotto il profilo giuridico, sia sotto il profilo fattuale. Tra costoro, vi saranno senz’altro le parti che abbiano agito o resistito in giudizio con mala fede, colpa grave o senza la normale prudenza; ma la valutazione che il giudice è chiamato a formulare, deve attenere alla condotta processuale nella sua oggettività e non all’atteggiamento psicologico – di mala fede o negligenza più o meno grave – della parte.

Ampio potere discrezionale al giudice

La norma affida dunque un ampio potere discrezionale al giudice – da esercitarsi, tuttavia, con la dovuta ragionevolezza – anche per quanto attiene la determinazione della sanzione (da individuarsi secondo criterio equitativo).

Sono queste le precisazioni fornite dalla Corte di Cassazione, seconda sezione civile, respingendo il ricorso di un giornalista nei confronti del proprio ordine professionale, e nel condannare il soccombente per responsabilità aggravata, ravvisando, nella specie, tutti i presupposti ex art. 96 comma 3 c.p.c.. Deve infatti ritenersi – si legge nella sentenza n. 27623 del 21 novembre 2017 – che il giornalista ricorrente abbia “oggettivamente” abusato dello strumento processuale, per aver proposto in Cassazione, dopo ben quattro gradi di giudizio (due amministrativi e due giurisdizionali), motivi palesemente inammissibili in quanto non consentiti dalla legge e formulato questioni di fatto che non avrebbero potuto trovare ingresso in sede di legittimità.

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