Professionista non collabora col Fisco? Presunzione di attività non dichiarate
Pubblicato il 17 maggio 2021
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Legittimo l’accertamento induttivo di maggior reddito emesso nei confronti del professionista sulla base di presunzioni che, valutate sia singolarmente sia nella loro interazione, siano in grado di dimostrare l'inattendibilità delle scritture contabili.
Inoltre, il comportamento poco collaborativo del contribuente nella verifica del reddito vale, di per sé, ad ingenerare un sospetto sull'attendibilità delle scritture, rendendo grave la presunzione di attività non dichiarate.
Bassa redditività e prestazioni generiche, sì ad accertamento
E’ stato respinto, dalla Cassazione, il ricorso promosso da un professionista contro la decisione di appello confermativa di un avviso di accertamento in cui era indicato, in capo al contribuente, un maggior reddito e, quindi, una maggiore pretesa fiscale ai fini Irpef, Iva e Irap.
Nell’ambito dell’accertamento, il reddito era stato individuato sulla base di presunzioni semplici, gravi precise e concordanti, ossia ai sensi dell'art. 39 comma 1, lett. d) del Dpr n. 600/1973, su elementi quali:
- bassa redditività dell'attività professionale;
- prestazioni effettuate indicate con estrema genericità nei documenti fiscali;
- alta incidenza del personale rispetto alla incidenza media;
- redditività negativa del settore, generalmente più remunerativo.
Il contribuente si era rivolto alla Suprema corte, lamentando violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in quanto, secondo la sua difesa, erano state utilizzate presunzioni non gravi, nonché un’omessa e/o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, rilevabile anche d'ufficio.
Maggior reddito sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti
Doglianze, queste, entrambe rigettate dal Collegio di legittimità, per come si evince nel testo dell’ordinanza n. 13085 del 14 maggio 2021.
Per la Cassazione, era da escludere, in primo luogo, la sussistenza di un difetto di violazione di legge, atteso che la sentenza appellata aveva dato atto che il reddito era stato individuato sulla base di presunzioni gravi precise e concordanti, per come sopra indicate.
Comportamento omissivo del contribuente, valenza
In tale quadro probatorio, il giudice di appello aveva anche evidenziato il comportamento omissivo e poco collaborativo del contribuente che, nella fase ante accertamento, non aveva presentato alcun documento.
Si era trattato di un comportamento omissivo che, di fatto, aveva impedito o comunque ostacolato la verifica dei redditi prodotti da parte dell'Ufficio, valendo, di per sé, solo ad ingenerare un sospetto sull'attendibilità delle scritture e rendendo "grave" la presunzione di attività non dichiarate desumibile dal raffronto tra le percentuali di ricarico applicate e quelle medie del settore, e la constatazione delle perdite dal settore protesi in genere il più remunerativo.
Ne conseguiva la legittimità dell'accertamento induttivo emesso dall'Ufficio sulla base dei predetti elementi.
Accertamento analitico-induttivo del reddito
Nella decisione, la Corte di cassazione ha ricordato il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui il ricorso all'accertamento analitico-induttivo del reddito d'impresa è legittimo quando, pur in presenza di scritture contabili formalmente corrette, la contabilità dell'impresa possa considerarsi complessivamente inattendibile, perché configgente con i criteri di ragionevolezza, sotto il profilo dell'anti economicità del comportamento del contribuente.
Nella vicenda esaminata, erano state considerate "irragionevoli" sia la percentuale di ricarico applicata dal professionista e la perdita del settore sia l'alta incidenza del costo del personale, tutte presunzioni che valutate sia singolarmente che nella loro interazione erano in grado di dimostrare l'inattendibilità delle scritture.
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