Per il tax credit beni strumentali spazio ai chiarimenti del Fisco
Pubblicato il 05 agosto 2021
In questo articolo:
- Soggetti interessati
- Imprese destinatarie di sanzioni interdittive
- Investimenti agevolabili
- Ambito temporale
- Utilizzo del credito d’imposta
- Rilevanza dell’Iva
- Operazioni straordinarie
- Trasferimento a soggetti trasparenti
- Soci di società cooperative
- Furto del bene agevolato
- Verifica del cumulo con altre agevolazioni
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Con la circolare 9/E dello scorso 23 luglio, l’Agenzia delle Entrate ha fornito (sotto forma di risposte a quesiti), alcuni importanti chiarimenti sulle modalità di fruizione del credito d’imposta per investimenti in beni strumentali nuovi di cui alla Legge n. 178/2020. In generale, per l’Agenzia, stante le numerose analogie - sia in termini di ratio dell’agevolazione sia per quanto concerne i requisiti soggettivi e oggettivi nonché gli aspetti tecnici e procedurali - tra la disciplina del super e iper ammortamento ed il nuovo credito d’imposta beni strumentali, è possibile far riferimento ai chiarimenti forniti nella circolare 4/E/2017 i cui criteri generali, per quanto compatibili con l’evoluzione del quadro giuridico di riferimento, devono considerarsi valevoli anche agli effetti del credito d'imposta.
Si propone, di seguito, una sintesi dei principali chiarimenti forniti dall’Agenzia nel documento di prassi.
Soggetti interessati
Sul piano soggettivo, l’Agenzia delle Entrate conferma l’applicazione del meccanismo agevolativo anche alle reti di imprese. In generale, il credito di imposta beni strumentali è attribuito «a tutte le imprese residenti nel territorio dello Stato, comprese le stabili organizzazioni di soggetti non residenti, indipendentemente dalla forma giuridica, dal settore economico di appartenenza, dalla dimensione e dal regime fiscale di determinazione del reddito dell’impresa, che effettuano investimenti in beni strumentali nuovi destinati a strutture produttive ubicate nel territorio dello Stato». Sotto il profilo soggettivo, dunque, il credito di imposta è riservato alle imprese residenti nel territorio dello Stato – incluse le stabili organizzazioni di soggetti non residenti – che, indipendentemente dalla forma giuridica, dal settore economico in cui operano, dalle dimensioni aziendali e dal regime contabile adottato, effettuano investimenti alle condizioni stabilite dai commi 1054, 1055, 1056, 1057 e 1058, in relazione alle diverse tipologie di beni agevolabili.
Sono ricompresi nel novero delle imprese beneficiarie:
- gli enti non commerciali, con riferimento all’attività commerciale eventualmente esercitata;
- le imprese agricole che determinano il reddito agrario ai sensi dell’articolo 32 del Tuir;
- le reti di imprese. Al riguardo, si ricorda che:
- le “reti-soggetto”, figurano tra gli enti commerciali oppure tra quelli non commerciali, a seconda che svolgano o meno attività commerciale in via principale o esclusiva;
- le “reti-contratto”, non comportando l’attribuzione della soggettività tributaria producono i loro effetti direttamente nelle sfere giuridico-soggettive dei partecipanti alla rete.
Ancora, si collocano nell’ambito della categoria delle imprese beneficiarie del credito d’imposta:
- le STP (società tra professionisti) titolari di reddito d’impresa che, al pari di tali soggetti, possono avvalersi sia del credito d’imposta per investimenti in beni strumentali materiali e immateriali 4.0, sia del credito d’imposta per investimenti in beni strumentali materiali e immateriali “ordinari”;
- gli “esercenti arti e professioni” che effettuano investimenti in beni “ordinari” materiali e immateriali.
L’Agenzia, da ultimo, fa rientrare nell’ambito soggettivo di applicazione del beneficio anche i soggetti che hanno intrapreso l’attività successivamente al 16 novembre 2020.
Ulteriore questione affrontata dal Fisco ha riguardato il “contemporaneo” esercizio di attività professionale e d’impresa. In particolare, se un soggetto esercita come attività principale quella professionale e come attività secondaria quella di impresa, per l’Agenzia non si ravvisano, in linea di principio, preclusioni in capo al contribuente, attesa l’assenza di esplicite indicazioni di segno contrario nella disciplina agevolativa. Sarà cura del beneficiario, ai fini dei successivi controlli, provvedere, sul piano contabile e documentale, a separare correttamente le spese ammissibili considerate rilevanti per il calcolo del credito d’imposta.
Imprese destinatarie di sanzioni interdittive
Aspetto che ha destato non poche perplessità nel tempo è stato quello relativo l’esclusione dall’accesso al credito d’imposta in esame delle imprese destinatarie di sanzioni interdittive (di cui all’articolo 9, comma 2, del DLgs.n.231/2001). Intervenendo sul punto, l’Agenzia delle Entrate ha confermato l’orientamento già sostenuto nell’ambito dell’interrogazione parlamentare n. 5-05261 del 14 aprile 2021.
Nello specifico, viene chiarito che l’applicazione delle sanzioni interdittive comporta una limitazione “temporanea” all’esercizio di un diritto o di una facoltà da parte del soggetto destinatario della sanzione e, pertanto, l’esclusione soggettiva dal credito d’imposta deve riguardare solo l’arco temporale interessato dall’applicazione della relativa sanzione interdittiva. Pertanto, gli investimenti in beni strumentali nuovi effettuati nel periodo interessato dalle sanzioni interdittive saranno irrilevanti agli effetti della disciplina agevolativa e, di conseguenza, i relativi costi saranno esclusi dalla base di calcolo del credito d’imposta.
Ad esempio, un “periodo di interdizione” di 6 mesi che va dal 1° marzo 2021 al 1° settembre 2021 comporterà l’impossibilità, per l’impresa destinataria della sanzione interdittiva, di fruire del credito d’imposta relativamente ai costi degli investimenti effettuati nel medesimo periodo temporale (1° marzo 2021 – 1° settembre 2021). Gli acquisti effettuati al di fuori di tale periodo, quindi, saranno agevolabili.
Investimenti agevolabili
Per quanto concerne gli investimenti agevolabili, l’Agenzia conferma (anche se appariva alquanto scontato) che l’agevolazione in esame si applica anche agli investimenti realizzati mediante contratto di leasing. Il mancato riferimento ai contratti di locazione finanziaria nei commi 1055, 1056, 1057 e 1058 della legge di bilancio 2021 – continua l’Amministrazione finanziaria - è “da imputare a un mero difetto di coordinamento formale e non alla volontà del legislatore di circoscrivere le modalità di effettuazione degli investimenti agevolabili alla sola acquisizione in proprietà dei beni.” Al riguardo, viene anche ribadito (nella risposta 4.4 della circolare) che il “parametro” di commisurazione del credito d’imposta spettante al locatario è rappresentato dal “costo per l’acquisto del bene” sostenuto dal locatore, mentre non assume alcuna rilevanza il prezzo di riscatto dallo stesso pagato all’atto di esercizio del diritto di opzione.
Sempre in materia di beni in leasing, l’Agenzia precisa (nella risposta 7.1) che il credito d’imposta in esame non è oggetto di “rideterminazione” qualora, nel periodo di sorveglianza, il bene acquisito in proprietà a seguito di riscatto venga successivamente ceduto a una società di leasing nel contesto di un’operazione di “sale and lease back”. Al riguardo, si precisa che l’eventuale esercizio del diritto di riscatto del bene oggetto del contratto di sale and lease back non configura un’ulteriore ipotesi di investimento agevolabile.
Va detto che, anche nelle ipotesi in cui la rideterminazione riguardi i beni in leasing, si rendono applicabili «in quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 1, commi 35 e 36, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, in materia di investimenti sostitutivi». In particolare, se nel corso del periodo di sorveglianza si verifica il realizzo a titolo oneroso del bene oggetto dell’agevolazione, non viene meno la fruizione delle residue quote del beneficio, a condizione che, nello stesso periodo d’imposta del realizzo, l’impresa:
a) sostituisca il bene originario con un bene materiale strumentale nuovo avente caratteristiche tecnologiche analoghe oppure superiori a quelle previste dall’allegato A della legge n. 232 del 2016;
b) attesti l’effettuazione dell’investimento sostitutivo, le caratteristiche del nuovo bene e il requisito dell’interconnessione secondo le regole previste dall’articolo 1, comma 11, della legge n. 232 del 2016.
Qualora il costo di acquisizione dell’investimento sostitutivo sia inferiore al costo di acquisizione del bene sostituito, sempre che ricorrano le altre condizioni previste, la fruizione del beneficio prosegue per le quote residue fino a concorrenza del costo del nuovo investimento (inferiore). Si precisa che anche nell’ambito della nuova disciplina agevolativa le disposizioni concernenti gli investimenti sostitutivi si rendono applicabili esclusivamente per i beni materiali dell’allegato A.
Ancora, l’Agenzia delle Entrate conferma che i beni materiali strumentali di costo unitario inferiore a 516,46 euro sono ammissibili al credito d’imposta e, quindi, concorrono alla sua determinazione, indipendentemente dalla circostanza che il contribuente scelga di dedurre o di non dedurre l’intero costo del bene nell’esercizio di sostenimento (procedendo, in tal caso, all’ammortamento dello stesso).
Ambito temporale
Per quanto riguarda l’ambito temporale di applicazione della nuova disciplina, la circolare 9/E cerca di fornire risposte ai numerosi dubbi applicativi. La norma della legge di bilancio 2021, come noto, stabilisce che il credito d’imposta spetta per gli investimenti effettuati dal 16 novembre 2020 al 31 dicembre 2022 (o al 30 giugno 2023, a condizione che entro la data del 31 dicembre 2022 il relativo ordine risulti accettato dal venditore e sia avvenuto il pagamento di acconti in misura almeno pari al 20% del costo di acquisizione). Nel caso in cui gli investimenti eleggibili al credito d’imposta siano effettuati nell’intervallo temporale che va dal 16 novembre 2020 al 30 giugno 2021, viene a verificarsi una parziale “sovrapponibilità” della nuova disciplina con quella prevista dalla legge di bilancio 2020. Al riguardo, in assenza di una specifica norma transitoria, l’Agenzia ritiene che il coordinamento delle due discipline agevolative debba avvenire distinguendo gli investimenti pre e post 15 novembre 2020. In particolare, nel caso di investimenti per i quali alla data del 15 novembre si sia proceduto all’ordine vincolante e si sia versato l’acconto del 20% (cd. “prenotazione”), sempre se effettuati (ossia, completati) entro il 30 giugno 2021, resta applicabile la disciplina di cui alla L. 160/2019.
Tale interpretazione – continua l’Agenzia - trova fondamento nella volontà del legislatore di anticipare gli effetti del nuovo regime agevolativo, senza attendere la naturale scadenza dell’ordinario termine del precedente regime (i.e., 31 dicembre 2020). Diversamente, nel caso in cui l’investimento sia stato prenotato a partire dal 16 novembre opera, invece, la nuova disciplina di cui alla L.178/2020.
Utilizzo del credito d’imposta
Chiarimenti di grande interesse, poi, sono quelli riportati nelle risposte all’utilizzo del beneficio. In primo luogo, viene confermato che le condizioni poste in capo alle imprese ai fini della fruizione del credito d’imposta, ossia il rispetto della normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro ed il corretto adempimento degli obblighi previdenziali a favore dei lavoratori, valgono anche per gli esercenti arti e professioni.
Ulteriore chiarimento (particolarmente atteso) riguarda la disposizione relativa alla regolarità contributiva. Sul punto, viene precisato che il contribuente è legittimato alla fruizione del credito d’imposta qualora, alla data di utilizzo in compensazione, abbia correttamente adempiuto agli obblighi di versamento dei contributi previdenziali e assistenziali a favore dei lavoratori.
Per l’Agenzia, quindi, la disponibilità di un Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC) in corso di validità al momento della fruizione del credito d’imposta costituisce prova del corretto adempimento degli obblighi contributivi e previdenziali richiesti dalla norma. E’, tuttavia, necessario che detto documento risulti in corso di validità all’atto di ciascun utilizzo in compensazione e ciò tanto nel caso in cui il contribuente abbia provveduto a richiederlo (e l’abbia ottenuto), tanto nel caso in cui, pur non avendolo richiesto, l’avrebbe ottenuto perché in regola con gli obblighi contributivi. Diversamente, il DURC “irregolare” (richiesto e non rilasciato oppure non ottenibile laddove fosse stato richiesto) preclude la fruizione del credito d’imposta spettante.
Nel caso in cui il credito d’imposta (ossia la relativa quota annuale) sia stato comunque utilizzato, in tutto o in parte, in compensazione, tale utilizzo è da ritenersi “indebito” (stante il fatto che la regolarità contributiva costituisce una condizione necessaria ai fini della legittima fruizione del bonus) e, pertanto, nei confronti del soggetto beneficiario, oltre all’obbligo di versamento di quanto indebitamente compensato, comprensivo di interessi, troverà applicazione la sanzione di cui all’art. 13, comma 4, del DLgs.n.471/1997, pari al 30% del credito utilizzato.
Importanti conferme arrivano, poi, per l’utilizzo nel tempo del credito d’imposta. Nello specifico viene chiarito quanto segue:
Utilizzo “oltre” il terzo anno |
nel caso in cui la quota annuale – o parte di essa – non sia utilizzata, l’ammontare residuo potrà essere riportato in avanti nelle dichiarazioni dei periodi di imposta successivi senza alcun limite temporale ed essere utilizzato già dall’anno successivo, secondo le ordinarie modalità di utilizzo del credito, andando così a sommarsi alla quota fruibile a partire dal medesimo anno. |
Utilizzo in un’unica quota |
l’utilizzo in un’unica soluzione del credito d’imposta rappresenta una “facoltà” e, nel caso in cui tale facoltà non venga azionata, il contribuente sconterà il credito in tre quote annuali di pari importo. Se il contribuente sceglie di fruire del credito d’imposta in un’unica quota, il credito non utilizzato, in tutto o in parte, potrà essere riportato in avanti nelle dichiarazioni dei periodi di imposta successivi. Si ricorda che è utilizzabile in compensazione in un’unica quota annuale il credito d’imposta per investimenti: - in beni strumentali materiali “non 4.0” effettuati dal 16.11.2020 al 31.12.2021 (ovvero termine lungo al 30.06.2022), indipendentemente dal volume dei ricavi o dei compensi dei soggetti beneficiari; - in beni strumentali immateriali “non 4.0” effettuati nel suddetto arco temporale dai soggetti con un volume di ricavi o compensi inferiori a 5 milioni di euro. Riguardo il periodo d’imposta rilevante ai fini della verifica del limite dei ricavi o dei compensi ai fini dell’utilizzo in un’unica quota del credito d’imposta, l’Agenzia ha chiarito che la verifica di tale limite va effettuata avendo riguardo ai ricavi o ai compensi conseguiti da parte dei soggetti beneficiari nel periodo d’imposta precedente a quello di entrata in funzione del bene. Del resto, una differente interpretazione potrebbe rendere non possibile l’utilizzazione del credito nell’anno di effettuazione dell’investimento laddove tale anno coincidesse con quello dell’entrata in funzione, non essendo noto in corso d’anno il volume di ricavi o di compensi che saranno conseguiti nell’anno stesso. |
Importi superiori a 5.000 euro |
l’utilizzo in compensazione dei crediti d’imposta di natura agevolativa, da indicare nel quadro RU della dichiarazione dei redditi, non necessita della preventiva presentazione della dichiarazione dei redditi da cui emergono i crediti stessi. Pertanto, l’utilizzo in compensazione del credito d’imposta per investimenti in beni strumentali nuovi per importi superiori a 5.000 euro non soggiace all’obbligo di apposizione del visto di conformità sul modello di dichiarazione in cui il credito viene indicato, atteso che lo stesso non è direttamente riconducibile alle imposte sui redditi, ma ha natura strettamente agevolativa. |
Ulteriore chiarimento ha riguardato un tema particolare, anche questo “caldo”, ossia il ritardo nell’interconnessione. Capita spesso nella pratica che un bene acquistato in un anno venga, poi, interconnesso a distanza di tempo dall’entrata in funzione. In presenza di un disallineamento temporale tra l’entrata in funzione del bene “4.0” e la sua interconnessione, la fruizione del credito d’imposta è ammessa “in misura ridotta” dall’anno di entrata in funzione del bene, ossia nella medesima aliquota percentuale spettante in relazione agli investimenti aventi ad oggetto beni strumentali “ordinari”, rinviando la fruizione del credito d’imposta “in misura piena” a partire dall’anno dell’avvenuta interconnessione. Quindi, se il bene entra in funzione, pur senza essere interconnesso, il contribuente potrà godere del credito d’imposta “in misura ridotta” fino all’anno precedente a quello in cui si realizza l’interconnessione oppure può decidere di attendere l’interconnessione e fruire del credito di imposta “in misura piena”.
Se l’impresa decide di avvalersi del credito di imposta “in misura ridotta” a seguito dell’entrata in funzione del bene, l’ammontare del credito d’imposta “in misura piena” successivamente fruibile dall’anno di interconnessione dovrà essere decurtato di quanto già fruito in precedenza. Tale valore, al netto del credito di imposta già fruito, sarà poi suddiviso in un nuovo triennio di fruizione di pari importo. Ad esempio, ipotizzando che nel corso del 2021 si proceda all’acquisto e all’entrata in funzione di un bene agevolabile il cui costo sia pari a 90.000 euro e che nel corso del 2022 si proceda alla sua interconnessione, qualora l’impresa nel corso del 2021 si avvalga della possibilità di utilizzare in compensazione la prima quota del credito spettante ai sensi del comma 1054 della legge di bilancio 2021, pari a 3.000 euro (1/3 di 9.000), a partire dal 2022 decorrerà il triennio di fruizione del credito spettante, per ipotesi, ai sensi del comma 1056 e la quota annuale compensabile sarà pari a 14.000 euro [1/3 di 42.000 (45.000 – 3.000)].
Sempre in relazione agli investimenti in beni “4.0”, i soggetti beneficiari sono tenuti, altresì, a produrre una perizia asseverata o un attestato di conformità da cui risulti che i beni possiedono caratteristiche tecniche, tali da includerli negli elenchi di cui agli allegati A e B annessi alla L.232/2016, e sono interconnessi al sistema aziendale di gestione della produzione o alla rete di fornitura.
Tuttavia, la norma e le disposizioni agevolative non contemplano espressamente alcun termine entro il quale il bene 4.0 deve essere interconnesso e i documenti attestanti la sussistenza dei requisiti necessari per l’agevolazione devono essere acquisiti. Sul punto, per l’Agenzia, sono applicabili le indicazioni fornite con la circolare n. 4/E/2017 e la risoluzione n. 27/E/2018 in tema di iper ammortamento, nonché con la risposta a istanza di interpello n. 394/E/ 2021. Alla luce delle indicazioni fornite in detti documenti di prassi, l’Amministrazione finanziaria ritiene che, potendo l’interconnessione intervenire anche in un anno successivo a quello di effettuazione dell’investimento e di entrata in funzione del bene esclusivamente per la necessità di acquisire o di adeguare l’infrastruttura informatica necessaria all’interconnessione, l’agevolazione non viene meno sempreché:
- le caratteristiche tecniche, richieste dalla disciplina “4.0” siano presenti nel bene già anteriormente al suo primo utilizzo (o messa in funzione);
- il soddisfacimento di tutte le caratteristiche tecnologiche e di interconnessione permanga per l’intero periodo di tempo in cui il soggetto beneficiario fruisce del credito d’imposta.
Rilevanza dell’Iva
Posto che, per la legge di bilancio 2021, il costo dei beni agevolabili è determinato ai sensi dell’articolo 110, comma 1, lett. b), del Tuir, e che, per gli investimenti effettuati mediante contratti di leasing, si assume il costo sostenuto dal locatore per l’acquisto dei beni, l’Agenzia delle entrate ha precisato che costituisce una “componente del costo” l’Iva totalmente indetraibile ai sensi dell’articolo 19-bis 1 del D.P.R. 633/1972 ovvero per effetto dell’opzione di cui all’articolo 36-bis del DPR n. 633/1972.
Di converso, è irrilevante ai fini in esame l’IVA “parzialmente indetraibile” risultante dal “rapporto” tra l’ammontare delle operazioni che conferiscono il diritto alla detrazione e le operazioni esenti. Conseguentemente, l’Iva parzialmente indetraibile per effetto del “pro-rata” non può essere considerata come costo afferente le operazioni d’acquisto ma è una “massa globale” che si qualifica come costo generale.
Quanto agli investimenti effettuati mediante leasing, nel caso in cui per l’utilizzatore l’Iva sui canoni sia indetraibile, ai fini dell’agevolazione assume rilievo anche l’Iva pagata dal locatore sull’acquisto del bene.
Operazioni straordinarie
In caso di operazioni straordinarie caratterizzate dal trasferimento dell’azienda o di un ramo di azienda nel cui ambito è rinvenibile il bene agevolato, la fruizione del credito d’imposta continuerà, in capo all'avente causa, secondo le regole, i costi e la dinamica temporale originariamente determinati in capo al dante causa, indipendentemente dal sopravvenuto cambiamento di proprietà del complesso aziendale. Pertanto, anche per il credito d’imposta in esame si applica il principio desumibile dalla circolare n. 8/E/2019 emanato a commento del meccanismo di recapture nell’ambito della disciplina dell’iper ammortamento.
In linea generale, resta fermo che il credito d’imposta in esame non può essere trasferito a soggetti terzi. Infatti, l’Amministrazione finanziaria, in varie occasioni, ha avuto modo di affermare la non trasferibilità dei crediti d’imposta di natura similare a quello in argomento. Il trasferimento della titolarità è ammissibile unicamente nei casi in cui specifiche norme giuridiche prevedono, al verificarsi dell’operazione, una confusione di diritti e obblighi dei diversi soggetti giuridici interessati; ad esempio, nei casi di fusione (circolare n. 38/E/2002), successione per decesso dell’imprenditore individuale (risoluzione n. 140/E/2003), scissione (risoluzione n. 143/E/2003). Ugualmente i crediti di tal natura possono essere trasferiti nell’ambito della cessione del ramo d’azienda che lo ha generato (risposta interpello n. 72/E dell’8 marzo 2019).
Sempre in tema di trasferibilità del credito d’imposta, l’Agenzia chiarisce che, in caso di decesso del titolare di un’impresa individuale, il beneficio può essere trasferito agli eredi, nel presupposto che questi proseguano l’attività. Sul punto, in coerenza con quanto chiarito nella risoluzione n. 140/E/2003, viene confermato che la successione per decesso dell’imprenditore individuale rappresenta una delle fattispecie in presenza delle quali è consentita, a fronte della prosecuzione dell’attività d’impresa, la continuazione della fruizione da parte degli eredi del credito maturato in capo al de cuius.
Trasferimento a soggetti trasparenti
Per quanto riguarda la possibilità di “trasferire” il credito d’imposta in esame ai soggetti trasparenti partecipanti all’impresa familiare ovvero alla società di persone, l’Agenzia delle Entrate, nel confermare questa eventualità (analogamente a quanto previsto per gli investimenti nel Mezzogiorno nell’ambito della risposta all’ interpello n. 85 del 5 marzo 2020), individua anche – sulla base di diversi documenti di prassi ( la risoluzione n. 163/E/2003, con cui è stata attribuita valenza generale ai principi espressi nelle risoluzioni n. 120/E/2002 e n. 286/E/2002,) i criteri, le modalità e la tempistica da seguire per l’attribuzione di un credito agevolato da parte dell’ente trasparente e per l’utilizzo del credito da parte dei soci della società di persone o dei collaboratori dell’impresa familiare. Nello specifico, l’attribuzione del credito ai soci o ai collaboratori va effettuata in proporzione alle quote di partecipazione agli utili. Tale attribuzione deve risultare dalla dichiarazione dei redditi dell’ente trasparente, il quale dà evidenza formale della ripartizione, indicando nel quadro RU del modello di dichiarazione relativo al periodo di imposta nel corso del quale il credito è maturato (i.e., il periodo di imposta in cui sono stati realizzati gli investimenti agevolati) l’ammontare spettante, quello eventualmente già utilizzato e quello residuo da riportare nella successiva dichiarazione, al netto dell’ammontare che si intende attribuire ai propri soci o collaboratori, anch’esso da indicare in apposito rigo. I soci o i collaboratori, a loro volta, acquisiscono nella propria dichiarazione la quota di credito ad essi assegnata, al fine di utilizzarla in compensazione.
L’utilizzo del credito d’imposta è consentito non a decorrere dalla maturazione del beneficio ma a decorrere dall’entrata in funzione del bene che dà diritto all’agevolazione o dall’interconnessione dello stesso. Chiaramente l’utilizzo da parte del socio o del collaboratore della propria quota di credito d’imposta è subordinato alla fruibilità del credito medesimo da parte dell’ente trasparente, ossia all’entrata in funzione o all’interconnessione del bene agevolato.
Si precisa, infine, che, in ciascun anno, la parte di credito attribuita ai soci o ai collaboratori, incrementata da quella utilizzata direttamente dalla società, non può eccedere la quota fruibile annualmente.
Ad esempio, si consideri una società di persone titolare di un credito d’imposta fruibile nella misura complessiva di 300 da ripartire in tre quote annuali. La società potrà utilizzare in compensazione il credito d’imposta nella misura massima di 100 per ciascun anno, ossia:
- 100 per l’anno N;
- 100 per l’anno N+1;
- 100 per l’anno N+2.
Quindi, la quota annuale massima di credito d’imposta spendibile in compensazione da parte della società trasparente è di 100. Qualora nell’anno N la società fruisca del credito d’imposta nella misura di 80, potrà attribuire ai soci la sola quota di credito d’imposta residua annua di 20, ripartendola tra gli stessi.
Nell’ipotesi in cui i soci della società trasparente siano due e partecipino la società al 50% ciascuno, la società potrà attribuire al socio A una quota del credito d’imposta residuo annuo di 10 e al socio B una quota del credito d’imposta residuo annuo di 10. Nell’anno N, quindi, dovrà risultare che l’importo complessivo del credito d’imposta utilizzabile da parte della società trasparente e dai soci (nell’esempio, pari a 80 per la società e a 10 per il socio A e 10 per il socio B) non superi la quota massima di credito d’imposta fruibile nell’anno (pari a 100). Tale regola torna applicabile anche con riferimento all’anno N+1 e all’anno N+2.
Soci di società cooperative
Stante il contenuto della risposta all’ interpello n.85/E/2020, nell’ipotesi di tassazione per trasparenza, l’attribuzione ai soci del credito maturato in capo alla società non configura un’ipotesi di cessione del credito d’imposta, ma ne costituisce una particolare forma di utilizzo. Tali conclusioni valgono anche per le società cooperative che, avendone i requisiti, abbiano optato per la trasparenza fiscale di cui all’articolo 115 del Tuir e, pertanto, sono assimilate, ai fini della tassazione, alle società di persone. In assenza di opzione per la trasparenza fiscale, le società cooperative, in qualità di soggetti Ires, non potranno applicare i principi sopra menzionati e, quindi, imputare ai soci il credito d’imposta maturato in capo alle medesime.
Furto del bene agevolato
Interessante, poi, il chiarimento in merito al bene agevolato che è stato oggetto di furto. Sul punto, l’Agenzia sottolinea che il furto del bene agevolato non costituisce causa di rideterminazione dell’agevolazione, dovendosi dare rilevanza, a tal fine, alla volontarietà della scelta del beneficiario. Al riguardo, si ricorda che il comma 1060 della legge di bilancio 2021 prevede la “rideterminazione” del credito d’imposta nell’ipotesi in cui «i beni agevolati sono ceduti a titolo oneroso o sono destinati a strutture produttive ubicate all’estero, anche se appartenenti allo stesso soggetto» entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di entrata in funzione ovvero a quello di avvenuta interconnessione.
Tale disposizione antielusiva, prevista al fine di garantire – quantomeno nel medio periodo – la stabilità e la durata degli investimenti oggetto dell’agevolazione, fa riferimento a situazioni in cui il soggetto beneficiario estromette volontariamente (e anticipatamente rispetto ai tempi minimi previsti) i beni agevolati dal regime d’impresa o dall’esercizio dell’arte e professione.
La norma intende, in altri termini, escludere dall’agevolazione investimenti a carattere temporaneo, realizzati al solo fine di fruire del credito d’imposta. Pertanto, nel caso di furto del bene oggetto di investimento, comprovato dalla relativa denuncia alle autorità competenti, la fuoriuscita del bene dal regime di impresa o dall’esercizio dell’attività di arti e professioni, proprio perché indipendente dalla volontà del beneficiario, non comporta l’applicazione della disposizione citata e, quindi, la rideterminazione dell’agevolazione.
Verifica del cumulo con altre agevolazioni
Come disposto dal comma 1059 della legge di bilancio 2021, il credito d’imposta per investimenti in beni strumentali nuovi «è cumulabile con altre agevolazioni che abbiano ad oggetto i medesimi costi, a condizione che tale cumulo, tenuto conto anche della non concorrenza alla formazione del reddito e della base imponibile dell'imposta regionale sulle attività produttive…, non porti al superamento del costo sostenuto».
In pratica, l’agevolazione risulta cumulabile con altre misure di favore (fiscali e non) insistenti sugli stessi costi ammessi al credito d’imposta, nel limite massimo del costo sostenuto. Eventuali ulteriori limitazioni alla fruizione del credito di imposta possono derivare dalla circostanza che siano le discipline delle “altre” misure di favore a prevedere un divieto di cumulo.
Ciò posto, al fine di verificare che i costi relativi agli investimenti ammissibili al credito d’imposta non risultino coperti oltre il limite massimo, è necessario individuare i costi dei beni oggetto d’investimento ammissibili a entrambe le discipline agevolative e assumere, quali costi rilevanti, l’importo complessivo dei costi ammissibili, al lordo dei contributi agli stessi correlati, cioè per il loro intero ammontare, anche se di tali costi il contribuente non è rimasto inciso per effetto dei contributi erogati a suo favore.
Quindi, occorre calcolare il credito di imposta “teoricamente” spettante, e sommare tale importo teorico a quello degli altri incentivi pubblici concessi sui medesimi investimenti.
Il risultato di tale somma non deve superare il “costo sostenuto” ovverosia l’ammontare complessivo dei costi ammissibili di competenza del periodo per il quale il contribuente intende avvalersi del credito di imposta. Nella sommatoria si deve tenere conto anche del beneficio ascrivibile alla non concorrenza del credito d’imposta alla formazione del reddito e della base imponibile IRAP.
Così, se la somma dell’importo degli altri incentivi concessi sugli investimenti ammissibili al bonus, maggiorato del “risparmio d’imposta”, risulta minore o uguale al costo agevolabile, è possibile beneficiare del credito di imposta per il suo intero importo. Qualora, invece, il risultato della somma fosse superiore, il contribuente sarà tenuto a ridurre corrispondentemente il credito di imposta spettante in modo che, sommato agli altri incentivi pubblici (fiscali e non) concessi per il medesimo investimento in beni strumentali, non venga superato il limite massimo rappresentato dal 100% dei costi sostenuti.
Sempre in materia di cumulabilità, si fa presente che - con la recente risposta all’interpello n. 508 del 23 luglio 2021 - è stato chiarito che sono cumulabili con il credito d’imposta per investimenti in beni strumentali nuovi i contributi maturati nell’ambito dei contratti di sviluppo di cui al DM 9 dicembre 2014, a condizione che tale cumulo non porti al superamento del costo sostenuto per l’investimento.
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