Per il familiare assunto con contratto a progetto generico non opera la presunzione di subordinazione

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Fileno, titolare di omonima ditta individuale e padre convivente di Tizio, intende assumere quest’ultimo con contratto di lavoro subordinato. Sennonché il consulente del lavoro di Fileno rappresenta che tale occupazione incontra il secco diniego dell’INPS. Così Fileno, al fine di ovviare all’ostacolo, decide di assumere il proprio figlio Tizio con contratto di collaborazione a progetto. Nel fare ciò redige intenzionalmente un progetto generico con l’obiettivo di fruire della sanzione della conversione del rapporto prevista dall’art. 69 del D.lgs. n. 276/03 e raggiungere così l’obiettivo prefissato. Quali conseguenze ispettive incontra l’operato di Fileno?




Premessa

È noto che il tessuto economico e produttivo del nostro Paese risulta caratterizzato da piccole imprese ove l’attività viene prestata grazie al fondamentale impegno dei soci e dei familiari. Sicché con la presente esposizione si intende prestare fede alla promessa, formulata in precedente occasione, di esaminare le dinamiche e le problematiche, anche patologiche, che contrassegnano tali rapporti di lavoro. E invero nelle passate esposizioni sono state affrontate tematiche relative alla natura dell’impresa familiare e al contenuto del lavoro del collaboratore. Nel caso pratico de “L'ispezione del lavoro” del 9 marzo 2012, “La prestazione del convivente more uxorio nell'impresa familiare”, dedicato all’attività del convivente more uxorio, è stato evidenziato il sottile limite che separa l’adempimento del dovere familiare dalla prestazione lavorativa giuridicamente rilevante e quindi quando finisce e quando invece comincia la prestazione del familiare. Tale peculiarità va rimarcata anche nella presente esposizione, ma nella diversa prospettiva tesa a illustrare la difficile conciliabilità tra lavoro familiare e rapporto di lavoro subordinato.

Lavoro subordinato tra familiari: gli oneri probatori

La giurisprudenza si è ormai da tempo attestata nel ritenere che “in tema di prestazioni lavorative rese in ambito familiare - le quali vengono normalmente compiute "affectionis vel benevolentiae causa" - la parte che fa valere in giudizio diritti derivanti da tali rapporti è tenuta ad una prova rigorosa degli elementi costitutivi della subordinazione e della onerosità […]”.

A tal fine giova rimarcare che il fondamentale requisito della subordinazione si configura come vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale deve estrinsecarsi nell'emanazione di ordini specifici (e non in semplici direttive, compatibili anche con il lavoro autonomo), oltre che nell'esercizio di un'assidua attività di vigilanza e controllo nell'esecuzione delle prestazioni lavorative, e deve essere concretamente apprezzato con riguardo alla specificità dell'incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione.
La prassi dell’INPS

Orbene, nella prospettiva di garantire una corretta instaurazione di rapporti di lavoro in ambito familiare che non sottendano interessi fraudolenti volti a conseguire indebite prestazioni assistenziali e/o a precostituire illecite posizioni pensionistiche, l’INPS è da anni orientato a valutare, in tale contesto, la sussistenza o meno di un rapporto di lavoro subordinato anche e soprattutto sulla base del criterio della convivenza.

In tal senso, ove venga riscontrata convivenza tra familiari, a detta dell’Istituto, opererebbe una presunzione di gratuità della prestazione, che escluderebbe lo schema della subordinazione, salva ovviamente la facoltà delle parti di dimostrare precisamente e rigorosamente la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato.

Laddove invece difettasse il requisito della convivenza, né comunione di interessi, tornerebbe a operare la presunzione di onerosità del rapporto, che sarebbe pertanto […] soggetto all'obbligo assicurativo, alla stregua dei rapporti fra estranei, salva la facoltà dell'Istituto di procedere ad accertamenti”. Tuttavia tale affermazione, a giudizio degli scriventi, non sottende un’inversione dell’onere probatorio circa la sussistenza o meno del rapporto di lavoro subordinato, atteso che quest’ultimo debba essere dimostrato dalla parte che ne invoca l’esistenza.

L’orientamento della giurisprudenza

Conformemente l’arresto giurisprudenziale della Suprema Corte è nel senso di ritenere che anche in assenza di “[…] presunzione di gratuità delle prestazioni lavorative tra persone legate da vincoli di parentela o affinità, per l'accertato difetto della convivenza degli interessati, non opera ipso iure una presunzione di contrario contenuto, indicativo cioè dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato; pertanto, in caso di contestazione, la parte che faccia valere dei diritti derivanti dal rapporto stesso ha comunque l'obbligo di dimostrarne, con prova precisa e rigorosa, tutti gli elementi costitutivi e, in particolare, i requisiti indefettibili dell'onerosità e della subordinazione.”.

Ciò posto, in tema di riparto degli oneri probatori, gli scriventi sono dell’avviso che sarebbe comunque sempre opportuno da parte del personale ispettivo acquisire informazioni dettagliate sulle modalità fattuali di svolgimento del rapporto. E valga altresì precisare che, al fine di valutare la sussistenza o meno del rapporto di lavoro subordinato tra familiari, non possono ritenersi sufficienti o esaustive le sole dichiarazioni testimoniali rese da coloro che risultano titolari delle posizioni soggettive nascenti del rapporto oggetto di dimostrazione. È evidente infatti che tali soggetti hanno interesse a che la subordinazione venga ritenuta sussistente al fine di fruire delle relative prestazioni. Occorre piuttosto che tale dimostrazione rappresenti l’esito di un accertamento approfondito nell’ambito del quale confluiscano plurimi atti e dichiarazioni e che siano sostanzialmente convergenti nel senso della sussistenza della subordinazione.

Il titolare dell’impresa e il familiare, entrambi interessati all’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato, potrebbero essere indotti a ovviare alle difficoltà probatorie sopra dette mediante un utilizzo strumentale di schemi contrattuali effettuato in violazione della disciplina di legge, onde conseguire l’applicazione della sanzione della conversione del rapporto in lavoro subordinato. In altri termini l’applicazione di quest’ultima sanzione, sebbene astrattamente configurata con una finalità antielusiva, potrebbe essere in realtà voluta dalle parti proprio al fine di superare altri ostacoli anch’essi aventi finalità antielusiva ma preordinati a evitare l’instaurazione del rapporto oggetto di sanzione.

Il caso concreto

Ciò per l’appunto è quanto avvenuto nel caso di specie ove Fileno, titolare dell’omonima ditta individuale, ammonito dal proprio consulente di fiducia dell’orientamento negativo dell’INPS circa la facoltà di inquadrare i rapporti padre-figlio nello schema della subordinazione, specie ove i familiari siano conviventi, ha deciso di superare il diniego dell’Ente previdenziale e gli oneri probatori connessi, instaurando con il proprio figlio Tizio un rapporto di collaborazione a progetto. Nel fare ciò, ha redatto intenzionalmente un progetto generico proprio con l’obiettivo di fruire della sanzione della conversione del rapporto prevista dall’art. 69 del D.lgs. n. 276/03 e raggiungere così l’obiettivo prefissato. E invero, come ampiamente esposto ne “L'ispezione del lavoro” del 24 febbraio 2012, “Contratto di collaborazione con progetto generico: vige la presunzione di subordinazione senza ulteriori accertamenti”, la mancanza o la genericità del progetto viene sanzionata dall’art. 69, D.lgs. n. 276 cit., con la conversione del rapporto collaborativo in rapporto subordinato. E tale conversione viene assistita, secondo la giurisprudenza di merito prevalente, da una presunzione assoluta di subordinazione, con la conseguente inammissibilità di prova contraria.

Orbene a giudizio degli scriventi la modalità operativa tenuta da Fileno e Tizio lede in maniera fedifraga le prerogative dell’Ente previdenziale sull’accertamento dei presupposti per il riconoscimento delle prestazioni che tipizzano il lavoro subordinato e rappresenta anche una chiara elusione delle regole relative al riparto degli oneri probatori contenute nell’art. 2697 c.c., così come applicate dalla giurisprudenza per l’accertamento della sussistenza del rapporto di lavoro subordinato tra familiari.

D’altro canto appare plausibile ritenere anche che l’accordo tra Fileno e il figlio Tizio sia ispirato da un motivo illecito comune a entrambi: l’univoca volontà di abusare degli strumenti sanzionatori previsti per il contratto a progetto nella prospettiva di sovvertire la funzione antielusiva della norma e realizzare così indebiti vantaggi previdenziali e fiscali.

In ragione di ciò deve ritenersi che il contratto concluso tra Fileno e Tizio sia radicalmente nullo e che pertanto lo stesso non può essere disciplinato da nessuna delle previsioni relative alle collaborazioni a progetto, ivi comprese pertanto la disposizioni di cui agli artt. 61 e 69 del D.lgs. n. 276 cit. Sicché, il personale ispettivo, rilevata la nullità del predetto contratto, non potrà che procedere ordinariamente attenendosi ai fatti emersi nel corso del procedimento ispettivo: riqualificare la tipologia del rapporto di lavoro sulla base degli elementi istruttori raccolti. Potrebbe altresì ipotizzarsi che la condotta fraudolenta tenuta da Fileno e Tizio possa formare oggetto di informativa alla Procura della Repubblica, in quanto volta a truffare l’INPS per precostituirsi indebite posizioni previdenziali e fruire delle prestazioni assistenziali che contraddistinguono il lavoro subordinato.

NOTE

i Cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 20/04/2011, n. 9043.

ii Per tutte cfr. Cass. civ. Sez. lavoro n. 4171/2006.

iii Cfr. Circolare INPS n. 179/89.

iv Per tutte cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 02/08/2010, n. 17992. Va rilevato che secondo altro indirizzo della Suprema Corte le prestazioni lavorative di collaborazione familiare e di assistenza offerte in favore di parenti o affini si presumono gratuite anche in difetto della convivenza. A detta dei Giudici di Legittimità quest’ultima “[…] trova la sua fonte nella circostanza che le suddette prestazioni vengono normalmente rese "affectionis vel benevolentiae causa". In ogni caso anche in tale circostanza non si assiste ad alcuna inversione dell’onere probatorio circa diritti derivanti dal rapporto di lavoro subordinato la cui dimostrazione va sempre fornita dalla parte che ne invoca la sussistenza. Cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 17/08/2000, n. 10923.

v Cfr. artt. 1344 e 1345 c.c.

vi Cfr. Cass. pen. Sez. II, 24/03/1992.

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