Pagamenti ai professionisti: CNF e UCPI contro il blocco dei compensi

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La disposizione del disegno di Legge di Bilancio 2026 che subordina il pagamento dei compensi dei professionisti alla verifica della regolarità fiscale e contributiva, suscita le preoccupazioni del Consiglio Nazionale Forense (CNF) e dell’Unione delle Camere Penali Italiane (UCPI).

Secondo le due istituzioni, la misura rischia di incidere negativamente sul lavoro professionale svolto nei confronti della Pubblica Amministrazione e di compromettere il corretto funzionamento del patrocinio a spese dello Stato, aggravando un sistema già caratterizzato da tempi di pagamento particolarmente dilatati.

La posizione del Consiglio Nazionale Forense (CNF)  

Con nota del 12 dicembre 2025, il Consiglio Nazionale Forense (CNF) ha espresso una netta contrarietà istituzionale alla previsione contenuta nell’art. 129, comma 10, del ddl Bilancio 2026, ritenuta lesiva dei diritti dei professionisti.

Secondo il CNF, la misura introduce una discriminazione ingiustificata tra avvocati che operano con clienti privati e quelli che prestano attività nei confronti della Pubblica Amministrazione, in violazione del principio di eguaglianza.

Viene inoltre richiamata la direttiva UE 2011/7/UE sui ritardi di pagamento, nonché evidenziate le gravi criticità derivanti dall’estensione ai compensi a carico dello Stato, con il rischio di compromettere il corretto funzionamento del patrocinio a spese dello Stato e l’accesso alla giustizia dei soggetti più fragili.

Le osservazioni dell’Unione delle Camere Penali Italiane (UCPI)  

Anche l’Unione delle Camere Penali Italiane (UCPI) ha formulato una critica di merito alla scelta di subordinare il pagamento dei compensi professionali alla regolarità fiscale e contributiva, ritenendola potenzialmente lesiva del diritto di difesa.

La posizione emerge dalla delibera approvata dalla Giunta UCPI in data 9 dicembre 2025.

La disposizione presenta, secondo l’UCPI, rilevanti lacune operative, poiché non definisce criteri certi per attestare la regolarità, né individua soglie minime di irregolarità idonee a giustificare il blocco dei pagamenti.

L’obbligo di allegare specifica documentazione alla fattura determina inoltre un aggravio burocratico per i professionisti, in particolare per i difensori d’ufficio, già esposti a procedure complesse e tempi di liquidazione estremamente dilatati.

I rischi per il diritto di difesa costituzionalmente garantito  

Per gli avvocati, la disposizione prevista dall’art. 129, comma 10, del ddl Bilancio 2026 rischia di incidere sull’effettività del diritto di difesa, tutelato dall’art. 24 della Costituzione, introducendo elementi di incertezza nel pagamento dei compensi professionali.

Il possibile blocco delle liquidazioni potrebbe determinare effetti negativi sul sistema della difesa d’ufficio, disincentivando l’assunzione di incarichi. Le conseguenze ricadrebbero in modo diretto sui cittadini ammessi al gratuito patrocinio, compromettendo l’accesso alla tutela giurisdizionale dei soggetti economicamente più deboli.

Il possibile disincentivo all’attività professionale nel patrocinio a spese dello Stato  

L’introduzione del blocco dei pagamenti, in altri termini, potrebbe determinare un disincentivo all’attività professionale nel patrocinio a spese dello Stato.

Il rischio concreto è quello di un progressivo disimpegno dell’avvocatura, scoraggiata dall’incertezza sulla percezione dei compensi.

Tale dinamica produrrebbe effetti sistemici sull’accesso alla giustizia dei soggetti non abbienti, riducendo la disponibilità di avvocati nel patrocinio a spese dello Stato e indebolendo uno strumento essenziale per garantire pari tutela dei diritti.

Le richieste di CNF e UCPI: soppressione del comma 10  

Il Consiglio Nazionale Forense (CNF) e l’Unione delle Camere Penali Italiane (UCPI), ciò posto, manifestano una chiara convergenza delle posizioni istituzionali nel richiedere la soppressione del comma 10 dell’art. 129 del ddl Bilancio 2026.

Entrambi gli organismi richiamano gli emendamenti soppressivi presentati in sede parlamentare, ritenendo la norma lesiva dei diritti dei professionisti e dell’equilibrio del sistema di tutela giurisdizionale.

L’appello è rivolto al Governo e al Parlamento, affinché intervengano per eliminare una disposizione considerata sproporzionata e potenzialmente incostituzionale.

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