Ordine di servizio impraticabile? Licenziamento ritorsivo

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Ordine di servizio impraticabile? Licenziamento ritorsivo

Il lavoratore può legittimamente rifiutarsi di adempiere a ordini di servizio che siano oggettivamente inattuabili o contrari ai criteri di correttezza e buona fede.

Mezzo inadeguato? Illegittimo il licenziamento per rifiuto della prestazione

Con ordinanza n. 6966 del 16 marzo 2025, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, è stata chiamata a pronunciarsi su un caso di licenziamento disciplinare che la Corte d’Appello aveva già dichiarato nullo, ritenendolo ritorsivo.

Il lavoratore coinvolto, impiegato come guardia particolare giurata e soggetto al Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per la Vigilanza Privata, aveva contestato il provvedimento del datore di lavoro, sostenendo che fosse stato adottato con intenti persecutori piuttosto che per una reale insubordinazione.

Secondo quanto emerso nel giudizio di merito, l'azienda aveva giustificato il licenziamento facendo riferimento a un comportamento di rifiuto reiterato della prestazione lavorativa, condotta che aveva configurato una grave insubordinazione e un abbandono del posto di lavoro.

Tuttavia, dalle indagini processuali era emerso che il dipendente era stato assegnato a un servizio con un mezzo inadeguato, che non poteva fisicamente utilizzare a causa della sua corporatura.

Nonostante l’impossibilità di svolgere l’attività prevista, il lavoratore aveva atteso regolarmente la fine del turno, senza assumere atteggiamenti o comportamenti che potessero giustificare il licenziamento.

Le motivazioni della Corte d’Appello

La Corte d’Appello aveva ritenuto che il licenziamento fosse privo di una reale giustificazione disciplinare e che fosse stato adottato con intento ritorsivo.

Tra gli elementi considerati vi era la condotta dell’azienda, che, oltre ad aver assegnato al lavoratore un mezzo non idoneo, aveva avviato tre distinte contestazioni disciplinari in un arco di tempo molto ristretto, due delle quali erano poi state abbandonate. Questa circostanza aveva fatto emergere il sospetto che l’azienda avesse deliberatamente orchestrato un piano per allontanare il dipendente.

Inoltre, la Corte ha preso in esame anche la richiesta del lavoratore di ottenere una rotazione dei turni, istanza che non era mai stata accolta né adeguatamente motivata dall’azienda.

La combinazione di questi elementi ha portato i giudici a concludere che il licenziamento non fosse stato motivato da effettive esigenze organizzative o disciplinari, ma piuttosto da una volontà ritorsiva del datore di lavoro.

Di fronte alla sentenza sfavorevole della Corte d’Appello, l’azienda ha presentato ricorso in Cassazione, contestando la mancata valutazione del rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione, l'assenza di prove sulla ritorsività del licenziamento e la liquidazione delle spese processuali. 

La conferma della Cassazione  

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la correttezza della decisione della Corte d’Appello.

In merito alla questione della ritorsività del licenziamento, i giudici di legittimità hanno ribadito che tale circostanza può essere dimostrata anche attraverso elementi presuntivi e indiretti.

Nel caso in esame, la contestualità delle contestazioni disciplinari, la mancata assegnazione di strumenti idonei allo svolgimento del lavoro e l’assenza di una reale giustificazione del licenziamento costituivano un quadro probatorio sufficiente per confermare il carattere ritorsivo del provvedimento.

La Sezione lavoro ha inoltre chiarito che il rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione non era equiparabile a un atto di insubordinazione, ma costituiva un’applicazione del principio dell’exceptio inadimpleti contractus previsto dall’articolo 1460 del Codice Civile (eccezione di inadempimento).

Tale principio consente a una parte di rifiutarsi di adempiere a un’obbligazione quando l’altra parte non ha rispettato i propri obblighi contrattuali.

Nel caso specifico, l’assegnazione di un mezzo inidoneo al lavoratore aveva rappresentato una condizione tale da giustificare il suo comportamento, giudicato conforme ai criteri di buona fede.

Dopo aver respinto le motivazioni dell’azienda, la Cassazione ha confermato la condanna al pagamento delle spese processuali, aggiungendo il raddoppio del contributo unificato.

La Corte, infine, preso atto della correzione del dispositivo della Corte d’Appello in merito alla reintegrazione, riconoscendo che il lavoratore aveva già optato per l’indennità sostitutiva, determinando quindi la cessazione del rapporto di lavoro.

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