Reato di omessa dichiarazione, riconoscimento di costi e perdite
Pubblicato il 05 maggio 2021
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Pronuncia della Corte di cassazione in tema di reati tributari e quantificazione dell’imposta evasa penalmente rilevante.
E’ stata definitivamente rigettata l’impugnazione promossa da un imprenditore, oppostosi alla condanna penale che gli era stata comminata per il reato di cui all’art. 5 del D. Lgs. n. 74/2000, ossia per omessa presentazione della dichiarazione relativa all’Ires.
L’imputato si era rivolto alla Corte di legittimità lamentando, tra gli altri motivi, la contraddittorietà della motivazione con cui i giudici di appello erano giunti a confermare la sua penale responsabilità per omessa dichiarazione.
Secondo la sua difesa, la Corte di gravame aveva considerato che l’accertamento induttivo operato dall’Agenzia delle Entrate potesse valere come prova delle entrate della società di cui era legale rappresentante ma non dei costi sostenuti e delle perdite dalla stessa subite.
In particolare, egli si doleva che nella quantificazione dell’imposta evasa non fossero stati considerati né una perdita sofferta nel periodo d’imposta di riferimento – che, a suo dire, avrebbe dovuto invece essere computata in diminuzione del reddito maturato - né i costi sostenuti dalla Srl per due suoi dipendenti.
Con sentenza n. 16865 del 4 maggio 2021, la Corte di cassazione, Terza sezione penale, ha respinto tutti i motivi di doglianza sollevati dal ricorrente, giudicandoli infondati.
Reati tributari, imposta evasa quantificata dal giudice penale
In primo luogo, la Suprema corte ha rammentato alcuni principi di diritto enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di reati tributari e quantificazione dell’imposta evasa penalmente rilevante.
Ha così sottolineato come spetti al giudice penale il compito di determinare l’ammontare dell’imposta evasa, da intendersi come l’intera imposta dovuta e non versata, suscettibile di sequestro e poi di confisca.
Nella sua valutazione, questi non è vincolato dalle valutazioni compiute in sede di accertamento tributario ma può, con adeguata motivazione, apprezzare gli elementi induttivi valorizzati in detta sede, per trarne elementi probatori che ritenga idonei a sostenere il suo convincimento.
Così, per determinare l’imposta evasa, l’organo giudicante deve effettuare una verifica che, pur non potendo prescindere dalle specifiche regole stabilite dalla legislazione fiscale per quantificare l’imponibile, risente delle limitazioni derivanti dalla diversa finalità dell’accertamento penale.
Di conseguenza, potrà tenere conto dei costi non contabilizzati solo in presenza, quanto meno, di allegazioni fattuali, da cui desumere la certezza o, comunque, il ragionevole dubbio della loro esistenza.
Costi e perdite vanno considerati se sono provati
Tornando al caso in esame, gli Ermellini hanno rilevato che la Corte d’appello non era incorsa in alcun travisamento della prova per omissione, avendo specificamente valutato il dato probatorio indicato nei motivi addotti dall’imputato.
Nel dettaglio, non risultava che il ricorrente, nel giudizio di merito, avesse allegato la documentazione relativa ai costi effettivamente sostenuti per i due dipendenti, per dimostrarne l’esistenza.
Inoltre, l'imputato non aveva nemmeno dimostrato che le perdite asseritamente subite risultassero dalle scritture contabili né aveva prodotto in giudizio elementi di prova concreti per provare l’esistenza delle perdite medesime.
Sul punto, il Collegio di legittimità ha richiamato il principio secondo cui, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, le spese e i componenti negativi sono deducibili anche se non risultino dal conto dei profitti e delle perdite, purché siano desumibili dalle scritture contabili.
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