Obbligo vaccinale e luoghi di lavoro, sul piatto un coacervo di diritti di rango costituzionale

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Obbligo vaccinale e luoghi di lavoro, sul piatto un coacervo di diritti di rango costituzionale

Ripartono i contagi da Sars-CoV-2 ed il Governo, come già avvenuto in Francia, tenta di ricorrere ai ripari emanando il nuovo Decreto Legge 23 luglio 2021, n. 105, al fine di regolamentare i parametri per l’individuazione delle zone bianche, gialle, arancioni e rosse, nonché la previsione di ricorrere alla c.d. Certificazione verde Covid per l’accesso ad alcuni servizi ed attività.

Riparte, dunque, il dibattito sull’obbligo vaccinale con l’associazione degli industriali che chiede al Governo l’estensione dell’utilizzo del Green pass per l’accesso ai contesti aziendali e/o lavorativi, in applicazione degli obblighi di correttezza, diligenza e buona fede su cui poggia il rapporto di lavoro.

La risoluzione giuridica sulla richiesta di vaccinazione posta dal datore di lavoro ed il diritto al lavoro non appare, però, cosa semplice. Si incrociano, infatti, schieramenti contrapposti di particolare delicatezza e complessità da essere stati elevati entrambi, oltre settanta anni fa, tra i diritti fondamentali della Carta Costituzionale, che si estendono su piani di natura individuale e collettiva. 

Vaccini anti-covid, tra tutela alla salute e diritto al lavoro

Sin dagli inizi della pandemia da Covid-19 si è acceso il dibattito sulla responsabilità del datore di lavoro rispetto alle misure anti-contagio da adottare a favore del personale dipendente e sugli obblighi correlati in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, che è proseguito, ad oggi, sull’attenta valutazione dell’introduzione di un obbligo vaccinale per i lavoratori dipendenti.

Attualmente, si rammenta, l’Esecutivo si è spinto, con il Decreto Legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla Legge 28 maggio 2021, n. 76, a rendere obbligatoria la vaccinazione per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività in strutture sanitarie, socio-sanitarie e socio-assitenziali, pubbliche e private, così come il personale delle farmacie, parafarmacie e studi professionali.

Unica eccezione al predetto obbligo sussiste allorquando si è in presenza di accertati pericoli per la salute in relazione a condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale.

In caso di inottemperanza per i predetti motivi clinici, l’art. 4 della citata norma prevede la possibilità di adibire il lavoratore a mansioni “anche diverse” che non comportino il rischio di contagio e, in ogni caso, assicurando il trattamento economico precedente. Diversamente, nel caso di opposizione alla somministrazione del vaccino si potrà sospendere il lavoratore sino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2021, senza diritto alla retribuzione o ad altro compenso.

Se per tali categorie di soggetti l’obbligo vaccinale viene menzionato – comprensibilmente - tra i requisiti essenziali per l’esercizio dell’attività, ci si chiede se il suddetto obbligo possa essere esteso ad altre categorie di lavoratori, non contemplati ad oggi dalla normativa, per i quali ricorrono analoghe esigenze di tutela per la sicurezza nei luoghi di lavoro e la salute pubblica.

La possibilità per intraprendere una campagna vaccinale aziendale obbligatoria in settori diversi da quelli previsti dall’art. 4, Decreto Legge 1° aprile 2021, n. 44, è, al momento, a forte rischio di esposizione a contenziosi per il datore di lavoro.

L’analisi che segue, non può prescindere dalla lettura dell’art. 32, comma 2, della Carta Costituzionale, secondo cui “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizioni di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Con l’introduzione nel nostro ordinamento del predetto art. 4, si realizza a chiare lettere la prescrizione del soprariportato articolo 32. Per le altre categorie, in assenza di espresse disposizioni legislative, ci si chiede se vi siano già, nel nostro ordinamento, possibili estensioni alle disposizioni generali regolatorie dei rapporti di lavoro.

In tale ricerca, si evidenzia in primis l’art. 2087, Codice Civile, a mente del quale il datore di lavoro è tenuto ad assicurare le misure necessarie per tutelare l’integrità fisica e morale dei prestatori di lavoro secondo l’esperienza e la tecnica conosciute, ed in secundis le disposizioni del Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza (in particolare gli artt. 20, 42 e 279) sugli obblighi dei prestatori di lavoro e sulla prevenzione e controllo per l’esposizione ad agenti biologici.

Rifiuto al vaccino, è possibile licenziare?

La risoluzione dell’intreccio di disposizioni riportate al paragrafo precedente, divide la dottrina in due orientamenti.

Il primo, forse sin troppo audace, reputa che il precetto previsto dall’art. 32 della Carta Costituzionale possa essere rinvenuto nell’art. 2087, Codice Civile ovvero nell’art. 20 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, ma anche dal combinato disposto degli artt. 279 e 42 del predetto Testo Unico sulla sicurezza, sicché diventerebbe possibile allontanare il lavoratore dalle mansioni rischiose alla quale è adibito ovvero risolvere il rapporto di lavoro. Tale ipotesi si fonda sul presupposto che il datore di lavoro ed il lavoratore devono collaborare attivamente per realizzare condizioni di massima sicurezza sul luogo di lavoro e sull’obbligo generale che incombe sul datore di lavoro di adottare misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Il nodo della questione è, dunque, che la vaccinazione anti-covid potrebbe – stando agli attuali pareri scientifici – rientrare negli obblighi di cui all’art. 2087, Codice Civile, quale misura idonea ad assicurare migliori condizioni di sicurezza contro il rischio di infezione da Sars-CoV2. L’altra faccia della medaglia, invece, è che le autorità sanitarie interessate hanno rilasciato soltanto un’autorizzazione provvisoria alla somministrazione, non potendosi apprezzare gli effetti a medio-lungo termine.

Altresì, giova rammentare che, ai sensi dell’art. 20 del Testo Unico della sicurezza sui luoghi di lavoro, ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro. Prescrizioni che, come noto, alimentano il vincolo stipulato in fase di assunzione.

A parere di chi scrive, si evidenza, però, che le prescrizioni dell’art. 2087, Codice Civile, non si sostanziano nell’adottare qualsivoglia scoperta scientifica tout court, rinvenendo, nel predetto art. 32, i limiti di tale disposizione. Invero, ad absurdum, l’affidamento generico e particolarmente estensivo all’art. 2087, Codice Civile, non potrebbe che porsi in contrasto con una norma di rango privilegiato, vanificandone, di fatto – per i soggetti in età lavorativa -, l’espresso rinvio sancito ad una norma di legge che vagamente potrebbe essere – sistematicamente – ricondotta alla citata prescrizione del Libro Quinto, aggirando l’ambito di applicazione del principio ex art. 32.

A conferma delle perplessità circa l’estensione tout court dell’obbligo vaccinale nei luoghi di lavoro vi è, anche, la stessa emanazione dell’art. 4, Decreto Legge 1° aprile 2021, n. 44. Invero, laddove l’obbligo vaccinale potesse essere ammesso secondo i ragionamenti giuridici sostenuti da tale autorevole dottrina non vi sarebbe stata l’esigenza di disporre specifici procedimenti di regolamentazione della fattispecie, proprio nell’ambito sanitario ove il rischio epidemiologico in trattazione è, di per sé, insito nelle lavorazioni prestate.

Diversamente, una dottrina più prudenziale, ritiene che la citata riserva costituzionale non è desumibile né nell’art. 2087, Codice Civile, né nel Testo Unico sulla sicurezza, dovendo, la legge, individuare specificatamente l’obbligo del trattamento sanitario in questione.

Invero, considerazione delle disposizioni dell’art. 279, Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, relative alle misure di sicurezza adottabili nei casi di sussistenza di un rischio biologico specifico, il datore di lavoro, su conforme parere del medico competente, adotta soluzioni protettive particolari per i lavoratori a rischio fra cui:

  • la messa a disposizione di vaccini efficaci per i soggetti non già immuni all’agente biologico, da somministrare a cura del medico competente;
  • l’allontanamento temporaneo del lavoratore secondo le procedure di cui all’art. 42.

Ciò assunto, il rifiuto alla vaccinazione anti-covid potrebbe configurare, solo per le lavorazioni in cui il rischio di contagio venga reputato specifico, l’eventuale inidoneità alla mansione. Di converso, l’estensione dell’obbligo vaccinale ad altri ambiti caratterizzati da un’esposizione generica non trova conferma, sicché potrebbero essere idonee le mere prescrizioni anti-contagio note per adempiere agli obblighi datoriali.

 

QUADRO NORMATIVO

Decreto Legge 1° Aprile 2021, n. 44 (testo coordinato Legge 28 maggio 2021, n. 76)

Decreto Legge 23 luglio 2021, n. 105

 

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