Nullo il licenziamento di più dirigenti: è collettivo

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Nullo il licenziamento di più dirigenti: è collettivo

Integrano la fattispecie di licenziamento collettivo e quindi soggiacciono al divieto vigente durante la pandemia i licenziamenti di 6 dirigenti intimati dalla stessa società, nello stesso periodo e sulla base delle medesime ragioni oggettive. Il Tribunale di Milano, sezione Lavoro, con ordinanza del 2 luglio 2021, ritiene del tutto irrilevante la circostanza che per 4 dei 6 licenziamenti sia intervenuta la revoca, il ripristino del rapporto e la successiva cessazione per risoluzione consensuale.

Licenziamento del dirigente e divieto emergenziale

Un dirigente, assunto con contratto di lavoro a tempo pieno ed indeterminato e in forza del CCNL Dirigenti per i dirigenti di aziende del terziario, della distribuzione e dei servizi, conviene in giudizio la società datrice di lavoro:

  • per l’accertamento della nullità del licenziamento intimatogli con lettera del 24 febbraio 2021 in violazione del divieto di licenziamento (collettivo di cui agli artt. 4, 5 e 24 della L. n. 223/1991 e individuale per motivo oggettivo) disposto dalla normativa emergenziale (art. 46 del Cura Italia, D.L. n. 18/2020, art. 1, commi 309-310, della legge di Bilancio 2021, legge n. 178/2020, art. 8 del decreto Sostegni, D.L. n. 41/2021) con richiesta di reintegrazione nel posto di lavoro in base all’art. 18, primo comma, Statuto dei lavoratori (l. 300/1970);
  • subordinatamente, per l’accertamento della nullità, invalidità, illegittimità e ingiustificatezza del licenziamento adducendo la mancata attivazione delle procedure di riduzione del personale ex artt. 4 e 24 della Legge n. 223/1991 e l’insussistenza del giustificato motivo oggettivo del recesso, condannando il datore di lavoro al pagamento di una indennità risarcitoria.

La società datrice di lavoro, in liquidazione, si costituisce in giudizio contestando il ricorso e chiedendone l’integrale rigetto.

Riconducibilità alla fattispecie del licenziamento collettivo

Al dirigente era stato intimato il licenziamento (comunicazione del 24 febbraio 2021) per motivo oggettivo consistente nella “complessa situazione, a fronte di una progressiva ed assai marcata oggettiva riduzione dei volumi di attività e del fatturato” della società che aveva reso necessaria una revisione dei costi di gestione e conseguentemente la soppressione del ruolo ricoperto dal dirigente.

In continuità di servizio per la durata del periodo di preavviso, il dirigente aveva impugnato il recesso datoriale (lettera del 5 marzo 2021) rilevando che, tra il mese di gennaio e il mese di febbraio 2021 e sulla scorta degli stessi presupposti oggettivi, la datrice di lavoro aveva licenziato, per ragioni oggettive, altri 5 dirigenti e deducendo la riconducibilità del proprio licenziamento nella sfera dei licenziamenti collettivi di cui agli artt. 4, 5 e 24 della L. 223/1991.

La società, in replica, evidenziava che, nel periodo contestato, si erano verificati, tecnicamente, soltanto 2 licenziamenti e non 6 in quanto 4 dei 6 rapporti di lavoro dirigenziali si erano conclusi per via di risoluzione consensuale e a fronte di un incentivo economico (all’intimazione del licenziamento era seguita la revoca del recesso, un ripristino del rapporto e successiva cessazione per risoluzione consensuale).

Nozione di licenziamento collettivo

Il Tribunale di Milano, in qualità di Giudice del Lavoro, ritiene il ricorso fondato e meritevole di accoglimento. 

Il giudice di merito ritiene infatti che la circostanza che sia intervenuta successivamente la revoca per 4 dei 6 licenziamenti è del tutto irrilevante.

Il tenore letterale dell’art. 24 della L. 223/1991 (“ Le disposizioni di cui all’articolo 4, commi da 2 a 12 e 15-bis, e all’articolo 5, commi da 1 a 5, si applicano alle imprese che occupino più di quindici dipendenti, compresi i dirigenti, e che, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, intendano effettuare almeno cinque licenziamenti, nell’arco di centoventi giorni, in ciascuna unità produttiva, o in più unità produttive nell’ambito del territorio di una stessa provincia. Tali disposizioni si applicano per tutti i licenziamenti che, nello stesso arco di tempo e nello stesso ambito, siano comunque riconducibili alla medesima riduzione o trasformazione”) non lascia spazio ad alcuna diversa interpretazione.

Sul punto, il giudice del merito richiama la nozione di licenziamento collettivo come formulata dalla giurisprudenza di legittimità, che afferma che” ove il datore di lavoro, che occupi più di quindici dipendenti, intenda effettuare, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, almeno cinque licenziamenti nell'arco di centoventi giorni, ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 24, è tenuto all'osservanza delle procedure previste dalla legge stessa, mentre resta irrilevante, ai fini della configurazione della fattispecie del licenziamento collettivo, che il numero dei licenziamenti attuati, a conclusione delle procedure medesime, sia eventualmente inferiore, nè è ammissibile, ove non siano osservate le procedure previste, una conversione del licenziamento collettivo in licenziamento individuale plurimo” (Cass. Civ. n. 13884 del 2012).

Nel caso di specie, afferma il Tribunale, il requisito numerico è stato raggiunto a monte quando la società ha adottato i 6 licenziamenti nell’arco temporale di 6 settimane circa manifestando apertamente la propria volontà di porre fine ai rapporti di lavoro e ciò è sufficiente per ritenere che i licenziamenti dei 6 dirigenti abbiano integrato la fattispecie di licenziamento collettivo.

Divieto di licenziamento e nullità dei recessi

Accertata la sussistenza di un licenziamento collettivo il Tribunale ravvisa la nullità del licenziamento intimato al dirigente per contrasto con la disciplina del blocco dei licenziamenti collettivi durante la pandemia da Covid-19.

L’art. 46 del D.L. n. 18/2020 (prorogato e confermato dalla normativa emergenziale successiva) ha infatti sancito il divieto dei licenziamenti collettivi e dei licenziamenti individuali per motivo oggettivo in pendenza di pandemia e la violazione di tale divieto comporta la nullità degli eventuali licenziamenti intimati.

Licenziamento nullo e risarcimento del danno 

In conclusione, il Tribunale di Milano, Sezione Lavoro dichiara la nullità del licenziamento intimato al dirigente, condannando la società a reintegrarlo nel posto di lavoro ed a versare un’indennità risarcitoria da quantificarsi in base all’art. 18, secondo comma, ultima parte della L. n. 300/1970 (“in ogni caso, la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto”). La circostanza che il ricorrente stia ancora lavorando presso la società in pendenza del periodo di preavviso, con percezione dello stipendio, rende infatti impossibile calcolare il risarcimento in base “all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello della effettiva reintegrazione”.

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