Non sussiste reato se alla minaccia segue l'azione giudiziaria
Autore: Cinzia Pichirallo
Pubblicato il 12 febbraio 2011
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La sesta sezione penale della Corte di cassazione con sentenza n. 5300 dell'11 febbraio 2011 ha sancito, in materia di sussistenza del reato di minacce, il seguente principio di diritto: “l'effettivo esercizio di un'azione civile, mediante la notificazione di un atto di citazione (o il deposito di un ricorso, secondo il rito) ancorchè motivato da ragioni strumentali rispetto al diritto vantato, non integra il concetto penalistico di minaccia o violenza”.
La Corte suprema ha così assolto, perchè il fatto non sussiste, un uomo imputato in un processo penale, per aver citato in giudizio il consulente grafologo per responsabilità professionale. Per l'accusa l'imputato era colpevole del reato di minacce avendo costretto il consulente a compiere atti contrari ai propri doveri.
In sostanza, secondo la pronuncia della Corte, la prospettazione di adire le vie legali può integrare il delitto di estorsione quando è diretta a coartare la volontà altrui; è necessario però che il risultato venga raggiunto senza che si instauri un effettivo rapporto con l'autorità giudiziaria. Al contrario, se viene realmente adito il giudice viene automaticamente eliminato ogni collegamento tra l'esito e la discrezionalità di chi agisce in giudizio. Pertanto l'apertura di un'azione civile (o penale) non è indicativa dell'esistenza del reato di violenza o minacce.
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