Messa alla prova: ok dalla Consulta
Pubblicato il 28 aprile 2018
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La Consulta ha dichiarato, in parte, infondati e, in parte, inammissibili i rilievi di legittimità costituzionale sollevati dal Tribunale di Grosseto in ordine agli articoli 464-quater, 464-quater, commi 1 e 4, e 464-quinquies, del Codice di procedura penale, e dell’articolo 168-bis, commi secondo e terzo, del Codice penale.
Le questioni sottoposte al vaglio costituzionale
In particolare, l’articolo 464-quater, comma 1, c.p.p. (in tema di sospensione del procedimento con messa alla prova) era stato censurato nella parte in cui non prevede che il giudice del dibattimento, ai fini della cognizione occorrente ad ogni decisione di merito da assumere nel procedimento speciale di messa alla prova, proceda alla acquisizione e valutazione degli atti delle indagini preliminari restituendoli per l’ulteriore corso in caso di pronuncia negativa sulla concessione o sull’esito della messa alla prova.
Sollevata, poi, una questione di legittimità rispetto all’articolo 168-bis, secondo e terzo comma, del codice penale, in quanto prevedrebbe la applicazione di sanzioni penali “non legalmente determinabili”, nonché questioni di legittimità costituzionale dell’art. 464-quater, comma 4, c.p.p., “nella parte in cui prevede il consenso dell’imputato quale condizione meramente potestativa di efficacia del provvedimento giurisdizionale recante modificazione o integrazione del programma di trattamento”.
Infine, altre questioni riguardavano gli articoli 464-quater e 464-quinquies c.p.p. “in quanto prevedono la irrogazione ed espiazione di sanzioni penali senza che risulti pronunciata né di regola pronunciabile alcuna condanna definitiva o non definitiva”.
Decisione della Corte
La Corte costituzionale, con sentenza n. 91 del 27 aprile 2018, ha giudicato, in primo luogo, le questioni di legittimità riferite all’464-quater, comma 1, come “inammissibili”, ritenendole “poste senza tenere conto della praticabilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata, diversa da quella prospettata e coerente con la cornice normativa in cui la norma si colloca”.
Tutte le altre questioni sono state, invece, dichiarate infondate alla luce delle caratteristiche del nuovo istituto.
Differenze con il patteggiamento e caratteristiche della messa alla prova
La Consulta ha in proposito precisato come la messa alla prova, anche se assimilabile al patteggiamento per la base consensuale del procedimento e del conseguente trattamento, presenti aspetti che da questo la differenziano, al punto “da non consentire un riferimento nei termini tradizionali alle categorie costituzionali penali e processuali, perché il carattere innovativo della messa alla prova segna un ribaltamento dei tradizionali sistemi di intervento sanzionatorio”.
In primo luogo – precisa la Corte - la sentenza che dispone l’applicazione della pena su richiesta delle parti, pur non potendo essere pienamente identificata con una vera e propria sentenza di condanna, è tuttavia a questa “equiparata”, mentre l’esito positivo della prova conduce ad una sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato.
Inoltre la sentenza di patteggiamento costituisce un titolo esecutivo per l’applicazione di una sanzione tipicamente penale, mentre l’ordinanza che dispone la sospensione del processo e ammette l’imputato alla prova non costituisce un titolo per dare esecuzione alle relative prescrizioni.
Ed è questa una caratteristica fondamentale, “perché viene riservata alla volontà dell’imputato non soltanto la decisione sulla messa alla prova, ma anche la sua esecuzione”.
Per i giudici costituzionali, infine, la possibilità di chiedere i riti speciali, e in particolare il patteggiamento o la messa alla prova, costituisce “una delle facoltà difensive”, mostrandosi, pertanto, “illogico considerare costituzionalmente illegittimi per la violazione delle garanzie riconosciute all’imputato questi procedimenti che sono diretti ad assicurargli un trattamento più vantaggioso di quello del rito ordinario”.
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