Mafiosi e terroristi ai domiciliari: non revocabili i trattamenti assistenziali
Pubblicato il 03 luglio 2021
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Con la sentenza n. 137, depositata il 2 luglio 2021, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, commi 61 e 58 della legge Fornero, nella parte in cui prevedono la revoca delle prestazioni assistenziali nei confronti di condannati per mafia e terrorismo che scontano la pena in regime alternativo alla detenzione in carcere.
Quadro normativo
Il comma 58 dell’art. 2 della legge 28 giugno 2012, n. 92 prevede che con la sentenza di condanna per i reati più gravi previsti dagli articoli 270-bis (associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico), 280 (attentato per finalità terroristiche o di eversione), 289-bis (attentato contro organi costituzionali e contro le assemblee regionali), 416-bis (associazione di tipo mafioso), 416-ter (scambio elettorale politico-mafioso) e 422 (strage) del codice penale, nonché i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni tipo mafioso, il giudice disponga la sanzione accessoria della revoca delle seguenti prestazioni, comunque denominate in base alla legislazione vigente, di cui il condannato sia eventualmente titolare: indennità di disoccupazione, assegno sociale, pensione sociale e pensione per gli invalidi civili.
Il comma 61 dell’articolo 2 dispone che, ai fini della revoca, con effetto non retroattivo, delle predette prestazioni, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge n. 92 del 2012, il Ministro della giustizia, d'intesa con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, trasmette agli enti titolari dei relativi rapporti l'elenco dei soggetti già condannati con sentenza passata in giudicato per i reati summenzionati.
Ex collaboratore di giustizia ai domiciliari e prestazione assistenziale
La Consulta decide in merito alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 61, della legge Fornero (e in via consequenziale, dell’art. 2, comma 58, della stessa legge), promosse dal Tribunale ordinario di Fermo, sezione lavoro, con ordinanza del 16 luglio 2019 e dal Tribunale ordinario di Roma, sezione prima lavoro, con ordinanza del 6 febbraio 2020.
Per il Tribunale di Fermo le questioni traggono origine dal giudizio concernente la legittimità dei provvedimenti di sospensione, prima, e di revoca, dopo, da parte dell’INPS della pensione d’invalidità civile a un ex collaboratore di giustizia, condannato per reati commessi dal 1995 al 2003 e successivamente in regime di detenzione domiciliare, nonché portatore di handicap e invalido totale e permanente, con conseguente inabilità lavorativa e in condizioni di assoluta indigenza economica.
Per il Tribunale di Roma, il giudizio nasce dal provvedimento di revoca ad opera dell’INPS dell’assegno sociale nei confronti d un condannato per i reati di associazione mafiosa, poi divenuto un ex collaboratore di giustizia e ammesso a scontare la pena in regime di detenzione domiciliare.
I giudici remittenti rilevano una lesione:
- dell’art. 38 della Costituzione, in quanto, nell’applicarsi a tutti i condannati, senza distinguere tra detenuti e soggetti ammessi a scontare la pena in regime alternativo (come la detenzione domiciliare), la disposizione censurata inciderebbe sul diritto al mantenimento e all’assistenza sociale riconosciuto in favore di ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere;
- degli articoli 2 e 3 della Costituzione, in quanto, se applicata senza alcuna distinzione ai collaboratori di giustizia, la disposizione censurata risulterebbe irragionevole nel trattare in maniera uniforme ipotesi differenti.
Con riferimento all’art. 25 della Costituzione, le posizioni dei remittenti sono invece diverse. Il Tribunale di Fermo ritiene difatti che, la revoca delle prestazioni previdenziali anche nei confronti dei soggetti già condannati con sentenza passata in giudicato, violerebbe anche il principio di irretroattività della legge penale, dovendo essere riconosciuta alla stessa natura di sanzione penale. Diversamente il Tribunale di Roma ritiene manifestamente infondata la questione escludendo che la revoca abbia natura di sanzione penale accessoria, configurandosi come un mero effetto extra-penale della condanna.
Condannati per mafia e terrorismo ai domiciliari: illegittima la revoca dei trattamenti assistenziali
La Corte Costituzionale esprime un giudizio di inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Fermo per via delle lacune dell’ordinanza di rimessione. Diversamente si ritengono fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dall’ordinanza di rimessione del Tribunale di Roma.
Al riguardo la Consulta ricorda che l’assegno sociale è una provvidenza che ha sostituito la pensione sociale, erogata a soggetti con età superiore a 65 anni (dal 1° gennaio 2019 superiore a 67 anni), in possesso di un reddito al di sotto delle soglie stabilite annualmente dalla legge.
La prestazione assistenziale è volta soddisfare un particolare stato di bisogno derivante dall’indigenza ed è diretta al sostentamento della persona, nonché alla salvaguardia di condizioni di vita accettabili e alla tutela di bisogni primari della persona, garantito a ogni cittadino inabile al lavoro (sentenza n. 152 del 2020).
La possibilità del legislatore di modulare la disciplina delle misure assistenziali non può pregiudicare tali prestazioni. Se pertanto è ammessa la fissazione di specifiche condizioni, quale il possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo dell’Unione europea (sentenza n. 50 del 2019), non è di converso ammessa la revoca dei trattamenti assistenziali che comporterebbe il rischio che il condannato ammesso a scontare la pena in regime di detenzione domiciliare o in altro regime alternativo alla detenzione in carcere, poiché non a carico dell’istituto carcerario, non disponga di sufficienti mezzi per la propria sussistenza.
Una diversità di effetti (tra revoca delle prestazioni sociali su chi si trova in stato di detenzione domiciliare o in altra forma alternativa di espiazione della pena rispetto a chi è detenuto in carcere) che determina una violazione anche dell’articolo 3 della Costituzione.
In conclusione, afferma la Corte Costituzionale, è illegittima la revoca delle prestazioni assistenziali, comunque denominate in base alla legislazione vigente, quali l’indennità di disoccupazione, l’assegno sociale, la pensione sociale e la pensione per gli invalidi civili, nei confronti di mafiosi e terroristi che scontino la pena in regime alternativo alla detenzione in carcere.
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