Lo scudo fiscale grava sui lavoratori frontalieri

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L’operazione “scudo fiscale” vede coinvolti soggetti chiamati, non sempre senza tensioni applicative, a fare i conti con il monitoraggio.  Poiché si tratta, spesso, di una strada in salita.

Infatti, se da una parte, l’operazione di emersione ha consentito ai grandi evasori di far rientrare i capitali in Italia, corrispondendo una imposta sostitutiva del 5%, dall’altra, la stessa operazione minaccia di colpire i numerosi lavoratori italiani frontalieri occupati in Svizzera, che rischiano di essere ingiustamente equiparati a coloro che hanno esportato illegalmente capitali all’estero. Il problema dei cosiddetti "lavoratori frontalieri" consiste nel fatto che essi sono cittadini italiani impiegati nei cantoni elvetici e, quindi, titolari di un salario che viene versato su un conto aperto presso una banca Svizzera. Le somme che ricevono non vengono sempre dichiarate nel quadro RW del modello Unico (anche per la scarsa conoscenza che di esso si ha), quindi entrano nella lente del Fisco. Ma è proprio su questo punto che si solleva la polemica: i frontalieri non sono evasori fiscali, bensì lavoratori che per decenni hanno varcato la frontiera per cercare un’occupazione lavorativa nella vicina Svizzera.

Analogamente ai frontalieri nella questione sul conto/salario, anche coloro che hanno ricevuto in eredità beni all’estero e coloro che possiedono un immobile oltre frontiera saranno, da adesso, obbligati a compilare il quadro RW. Se fossero stati rispettati gli obblighi di monitoraggio queste categorie, oggi, non incorrerebbero in alcun problema, ma anche la semplice “dimenticanza” impone di rispettare il nuovo obbligo fiscale-burocratico al fine di evitare il pagamento di maggiori imposte. Così, chi ha beni ereditati o gli immigrati, che ad esempio hanno case o terreni nei loro Paesi di origine, dovranno alle casse dell’Erario italiano l'imposta del 5%.

I problemi non finiscono. Accade anche che chi decide volontariamente di “scudare” le proprie attività detenute all’estero si trovi in difficoltà. È il caso di chi possiede una casa in Svizzera, che per sanarla dovrebbe procedere con il rimpatrio giuridico, effettuato tramite il conferimento in una società svizzera (costituita nello stesso Paese, dice la prassi agenziale) non intestataria di altri beni. Dati questi vincoli, ci si troverà di fronte ad una società di comodo, anche se di diritto estero.

Le medesime difficoltà di rimpatrio incontrano gli altri Paesi rimasti fuori dalla “White list” predisposta dal Fisco. La lista degli Stati ammessi alla regolarizzazione e al rimpatrio degli investimenti detenuti all’estero, stilata dall’agenzia delle Entrate con la circolare n. 43/E, appare troppo limitativa (solo 36 Paesi) rispetto ai 192 Stati membri dell’Onu.

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