Licenziamento per spaccio: quando è legittimo secondo la Cassazione

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Licenziamento per spaccio: quando è legittimo secondo la Cassazione

Licenziamento disciplinare per fatti extralavorativi di rilevanza penale: due pronunce della Cassazione a confronto.

Licenziamento dopo condanna per spaccio, legittimo?

Il tema della legittimità del licenziamento per fatti extralavorativi di rilevanza penale è stato oggetto di attenzione da parte della Corte di Cassazione – Sezione Lavoro – in due recenti ordinanze, la n. 10612 del 23 aprile 2025 e la n. 7793 del 24 marzo 2025.

Pur trattando casi apparentemente simili, le due decisioni approdano a conclusioni opposte, evidenziando come la valutazione della giusta causa debba essere sempre condotta alla luce del contesto concreto, della tempistica degli eventi, del ruolo effettivamente ricoperto dal lavoratore e dell’incidenza reale della condotta sulla relazione fiduciaria tra le parti.

La vicenda esaminata nell’ordinanza n. 10612/2025  

Nel primo caso, la Corte ha confermato la legittimità del licenziamento disciplinare intimato a un lavoratore coinvolto in un procedimento penale per associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti. Sebbene non fosse intervenuta una condanna penale definitiva al momento del recesso, i giudici di legittimità hanno ritenuto che la condotta fosse oggettivamente grave e socialmente allarmante, tanto da minare in modo irreversibile il vincolo fiduciario tra datore e lavoratore.

La Suprema Corte ha valorizzato, in particolare, la gravità intrinseca della condotta, la molteplicità degli episodi, la stabile appartenenza del lavoratore a un contesto criminale organizzato e l’allarme sociale suscitato dai fatti.

È stato altresì ritenuto legittimo l’utilizzo, da parte del datore di lavoro, di elementi tratti dagli atti del procedimento penale, anche in assenza di una prova definitiva, ai fini della valutazione disciplinare.

La decisione è stata resa conforme al principio per cui non è necessario attendere una condanna penale irrevocabile, quando i fatti contestati, seppure extralavorativi, siano di tale gravità da rendere non proseguibile il rapporto di lavoro.

Il caso oggetto dell’ordinanza n. 7793/2025  

Diversa la conclusione raggiunta nella seconda ordinanza, in cui la Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito che avevano annullato il licenziamento per giusta causa intimato a una lavoratrice condannata con sentenza definitiva per fatti di spaccio risalenti agli anni 2011-2012.

In questo caso, la Corte ha ritenuto che la sanzione espulsiva fosse sproporzionata, sia per la tempestività della reazione datoriale, sia per la posizione marginale della dipendente all’interno dell’organizzazione aziendale.

La lavoratrice, infatti, svolgeva mansioni meramente esecutive, prive di responsabilità gestionali o di visibilità esterna. Dopo i fatti contestati, era rimasta in servizio per diversi anni senza incidenti disciplinari e senza che il datore di lavoro adottasse misure cautelari.

La Cassazione ha quindi escluso che, in quel contesto, il comportamento pregresso potesse considerarsi attuale e concretamente idoneo a incidere negativamente sul vincolo fiduciario.

Particolarmente rilevante, ai fini della decisione, è stata anche la considerazione della condotta del datore di lavoro, che pur essendo a conoscenza dell’arresto già dal 2013, aveva atteso fino al 2019 – e quindi molti anni dopo i fatti – per procedere al licenziamento, sulla base dell’intervenuta sentenza definitiva.

Secondo la Corte, tale ritardo procedimentale compromette la coerenza dell’azione disciplinare, rendendo non proporzionata la sanzione espulsiva.

Analisi comparata: quali criteri incidono sulla legittimità del licenziamento  

Dall’analisi comparativa delle due decisioni emergono con chiarezza alcuni criteri determinanti nella valutazione della legittimità di un licenziamento per fatti extralavorativi:

  • in primo luogo, la gravità oggettiva della condotta: nel primo caso, l’inserimento del lavoratore in una rete criminale organizzata ha costituito elemento dirimente; nel secondo, invece, si è trattato di episodi isolati e di lieve entità;
  • in secondo luogo, il ruolo effettivamente ricoperto dal dipendente: se questo è privo di esposizione pubblica o di rappresentatività aziendale, la condotta extralavorativa tende ad assumere minore rilievo disciplinare;
  • inoltre, assume rilievo la tempestività della contestazione: la Corte ha ritenuto rilevante il fatto che, nel secondo caso, la società fosse a conoscenza della vicenda da anni, senza aver adottato tempestivamente alcuna misura;
  • infine, è stato ribadito il principio secondo cui non esiste un automatismo tra condanna penale e giusta causa di licenziamento: ogni fattispecie va valutata nel suo concreto impatto sul rapporto di lavoro.

Considerazioni conclusive  

Le due pronunce confermano l’importanza di un approccio prudente e contestualizzato da parte del datore di lavoro nell’esercizio del potere disciplinare. Laddove si intenda procedere a un licenziamento per fatti extralavorativi, è fondamentale valutare in concreto:

  • la sussistenza di un nesso attuale tra la condotta e l’incarico svolto;
  • la proporzionalità della sanzione;
  • la tempestività e coerenza della reazione disciplinare;
  • il ruolo del lavoratore nel contesto aziendale.

Solo un’attenta ponderazione di tali fattori potrà garantire la legittimità del recesso e prevenire contenziosi in sede giudiziaria.

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