Licenziamento collettivo: l’indennità sostitutiva di preavviso si può ridurre
Pubblicato il 29 giugno 2021
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Nelle procedure di licenziamento collettivo è legittimo applicare le disposizioni di un accordo sindacale che preveda la riduzione dell'importo dell'indennità sostitutiva di preavviso per i lavoratori rientranti nella procedura di esodo rispetto alla misura stabilita dal CCNL.
È quanto ha statuito la Corte di Cassazione Sezione Lavoro, con ordinanza del 15 giugno 2021, n. 16917.
L’ordinanza de quo torna sulla contrattazione collettiva di prossimità di cui all’articolo 8 del Decreto legge n.138 del 2011, convertito dalla legge n. 148 del 2011 e approfondisce il tema dei suoi poteri derogatori alle disposizioni di legge ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro sulle materie espressamente richiamate e, anche in ordine alle "conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio".
Riduzione del personale per crisi aziendale
Per far fronte a una situazione di crisi aziendale, un Istituto di credito avvia una procedura di riduzione del personale concordando con il sindacato, in base ad un separato accordo collettivo di mobilità e per i lavoratori che avessero già maturato il diritto alla pensione, il riconoscimento di un'indennità per il mancato preavviso in misura pari a tre mensilità (misura ridotta rispetto alle sei previste dal CCNL).
Il giudice di primo grado adito da uno dei lavoratori esodati aveva riconosciuto il diritto dello stesso alla corresponsione in proprio favore della differenza fra quanto erogato a titolo di indennità sostitutiva del preavviso all'esito di procedura di licenziamento collettivo e quanto invece previsto dalla contrattazione nazionale di categoria.
In secondo grado la Corte d'appello aveva respinto l'appello proposto dalla Banca accogliendo l’iter argomentativo del Tribunale e ritenendo la contrattazione decentrata non abilitata a modificare la disciplina del CCNL quanto ai trattamenti economici e normativi ed escludendo, nella fattispecie, l'applicabilità dell’articolo 8 del Decreto Legge n. 138 del 2011.
Avverso tale sentenza, l’istituto di credito propone ricorso per cassazione contro il qual resiste il lavoratore esodato.
Accordo di prossimità e motivi di ricorso
Il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione:
- della legge n. 223 del 1991, articolo 5 e degli articoli 1362, 1363 e 1366 c.c., circa l'interpretazione dell'accordo collettivo di mobilità del 28 dicembre 2012;
- del decreto legge n. 138 del 2011, articolo 8, convertito dalla L. n. 148 del 2011 e dell'articolo 12 delle disp. gen. in ordine alla configurabilità del contratto aziendale come "specifica intesa" ai sensi dell'articolo 8;
- degli articoli 1362, 1363 e 1366 c.c. con riguardo all'articolo 1 dell'Accordo Quadro del 24 ottobre 2011 e degli articoli 6 e 28 del CCNL 19 gennaio 2012.
La Corte di Cassazione ritiene fondati i tre motivi.
CCNL e deroghe dell’accordo di prossimità
Gli Ermellini, pur ricordando i principi generali per cui:
- alla contrattazione collettiva non è consentito incidere su posizioni già consolidate o su diritti già entrati nel patrimonio dei lavoratori in assenza di uno specifico mandato od una successiva ratifica da parte degli stessi,
- i contratti o gli accordi collettivi aziendali sono applicabili a tutti i lavoratori dell'azienda, ancorchè non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti (con l'unica eccezione di quei lavoratori che, aderendo ad una organizzazione sindacale diversa, ne condividono l'esplicito dissenso dall'accordo medesimo e siano eventualmente vincolati ad un accordo sindacale separato e diverso),
diversamente da quanto ritenuto dal giudice di secondo grado, evidenzia che con la sentenza n. 268 del 1994, la Corte costituzionale ha rilevato come la legge, rimettendo la scelta dei lavoratori da collocare in mobilità "ai criteri previsti dai contratti collettivi stipulati con i sindacati di cui all'articolo 4, comma 2... non preveda alcun potere sindacale di deroga a norme imperative di legge, bensì sostituisce alla determinazione unilaterale dei criteri di scelta, originariamente spettante all'imprenditore nell'esercizio del suo potere organizzativo, una determinazione concordata con i sindacati maggiormente rappresentativi", in tal modo, procedimentalizzando il potere datoriale.
Tale procedimentalizzazione, evidenzia la Corte, mira a favorire una gestione concordata della messa in mobilità dei lavoratori in quanto consente di adattare i criteri di individuazione del personale in esubero alle condizioni concrete dei processi di ristrutturazione aziendale. Come è difatti avvenuto nel caso di specie nel quale la Banca, anzichè procedere unilateralmente al licenziamento, applicando, tout court, i criteri legali di scelta, ha concordato con il sindacato una scelta prioritaria relativa ai lavoratori più vicini alla pensione prevedendo la riduzione dell’indennità per il mancato preavviso.
Sul punto infine la Cassazione richiama quanto già statuito (Cass. 22/07/2019 n. 19660) in una fattispecie simile, riguardante la procedura di mobilità di un altro Istituto di credito, nella quale è stata ritenuta legittima la integrale rimozione del diritto a percepire l'indennità sostitutiva del preavviso su accordo tra le e allo scopo di ridurre i costi della procedura.
Indennità sostitutiva del preavviso: riduzione
In conclusione, argomenta la Corte di legittimità, l'indennità sostitutiva del preavviso può essere oggetto di accordo e di rinuncia e pertanto è suscettibile di definizione concordata tra le parti sociali, “chiamate, nel contesto di una crisi aziendale, a mediare per assicurare la prosecuzione dell'attività di impresa e la conservazione dei livelli di occupazione”.
Inoltre alla procedura si applica la previsione di cui all’articolo 8, comma 2 bis del decreto legge n. 138 del 2011, nella parte in cui prevede che le parti collettive, fermo restando il rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, con le intese finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all'avvio di nuove attività, possano operare anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 della norma ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro e, pertanto, anche in ordine alle "conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio".
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