Legge sull'autonomia differenziata: parziale stop della Corte Costituzionale

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Legge sull'autonomia differenziata: parziale stop della Corte Costituzionale

Parziale stop della Corte Costituzionale a sette profili della legge sull'autonomia differenziata: partendo dai Livelli essenziali di prestazione (Lep) e arrivando alle aliquote sui tributi, al secondo giorno di Camera di consiglio arriva dunque la decisione della Consulta che accoglie parzialmente i ricorsi delle quattro Regioni (Campania, Puglia, Sardegna e Toscana) che hanno impugnato la cosiddetta legge Calderoli.

I giudici hanno ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge, considerando invece illegittime solo alcune specifiche disposizioni.

Vediamo quanto riportato nel comunicato stampa diffuso dalla Corte Costituzionale il 14 novembre 2024.

Autonomia differenziata: più tutele o più diseguaglianze?

La Corte Costituzionale si è pronunciata dunque sulla legge che regola l’autonomia differenziata delle regioni ordinarie, tema di grande rilevanza per il sistema istituzionale italiano.

Si tratta di una legge che ha sollevato un acceso dibattito politico e giuridico, incentrato sulla distribuzione delle competenze legislative e amministrative tra Stato e Regioni.

L’autonomia differenziata è disciplinata dall’articolo 116, terzo comma, della Costituzione italiana, che prevede la possibilità per le Regioni ordinarie di ottenere maggiori competenze in specifici ambiti.

Questo meccanismo, se da un lato promuove l’adattamento delle politiche pubbliche alle peculiarità territoriali, dall’altro deve rispettare alcuni principi fondamentali, tra cui l’unità della Repubblica, la solidarietà tra le Regioni e la tutela dei diritti fondamentali.

Nel suo giudizio, la Corte Costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di legittimità relativa all’intero impianto normativo della legge.

Tuttavia, ha individuato diverse disposizioni specifiche che risultano in contrasto con i principi costituzionali.

In generale, è sottolineata l'importanza di un equilibrio tra le esigenze delle autonomie regionali e i valori fondanti dello Stato unitario.

L'autonomia differenziata, secondo la Corte, non può tradursi in un semplice trasferimento di poteri, ma deve essere finalizzata al bene comune e al miglioramento dei servizi offerti ai cittadini.

La Corte ha ribadito infatti che il decentramento deve essere attuato in conformità al principio di sussidiarietà, garantendo che le competenze trasferite siano esercitate nel modo più efficiente e rispondano alle reali esigenze delle comunità locali.

Federalismo sì, ma nel contesto dell’ordinamento italiano

Secondo la Corte Costituzionale, l’art. 116, terzo comma, della Costituzione deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiana in base alla quale è riconosciuto il ruolo fondamentale delle Regioni anche prevedendo forme particolari di autonomia, ma sempre all’interno dei principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le Regioni stesse, dell’eguaglianza, della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio.

Ebbene, i giudici della Consulta ritengono che la distribuzione delle funzioni legislative e amministrative tra i diversi livelli territoriali di governo, in attuazione dell’art. 116, terzo comma, debba avvenire in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla Costituzione.

E’ dunque il principio costituzionale di sussidiarietà che regola la distribuzione delle funzioni tra Stato e Regioni: in quest’ottica, l’autonomia differenziata deve essere volta a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a rispondere ai bisogni dei cittadini.

I sette profili di incostituzionalità

La Corte, nell’esaminare i ricorsi delle Regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Campania, ha ravvisato l’incostituzionalità dei seguenti sette profili della legge:

  • la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la Regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie; la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata dal richiamato principio di sussidiarietà;
  • il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (LEP) priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento;
  • la previsione che sia un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri a determinare l’aggiornamento dei LEP;
  • il ricorso alla procedura prevista dalla legge di bilancio per il 2023 per la determinazione dei LEP con decreto del Presidente del Consiglio di Ministri sino all’entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dalla stessa legge per definire i LEP;
  • la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito; in base a tale previsione, argomenta la Corte, potrebbero essere premiate proprio le Regioni inefficienti che – dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite – non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni;
  • la possibilità di opzione, per le Regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica;
  • l’estensione della legge n. 86 del 2024, e dunque dell’art. 116, terzo comma, Costituzione, alle Regioni a statuto speciale, che invece, per ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai propri statuti speciali.

I profili dichiarati costituzionali

La Corte ha invece dichiarato costituzionali altre previsioni della legge:

  • l’iniziativa legislativa relativa alla legge di differenziazione non va intesa come riservata unicamente al Governo;
  • la legge di differenziazione non è di mera approvazione ma implica il potere di emendamento delle Camere; in tal caso l’intesa può dunque essere rinegoziata;
  • la limitazione della necessità di predeterminare i LEP ad alcune materie va intesa nel senso che, se il legislatore qualifica una materia come “no-LEP”, i relativi trasferimenti non potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali;
  • l’individuazione delle risorse destinate alle funzioni trasferite dovrà avvenire prendendo a riferimento costi e fabbisogni standard e criteri di efficienza, liberando risorse da mantenere in capo allo Stato per la copertura delle spese che, nonostante la devoluzione, restano comunque a carico dello stesso;
  • la clausola di invarianza finanziaria richiede inoltre che, al momento della conclusione dell’intesa e dell’individuazione delle relative risorse, si tenga conto del quadro generale della finanza pubblica, degli andamenti del ciclo economico, del rispetto degli obblighi eurounitari.

Competenze del Parlamento e della Consulta

Spetta dunque al Parlamento nell’esercizio della propria discrezionalità, prosegue la Consulta, colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle ricorrenti nel rispetto dei principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge.

La Corte Costituzionale resta invece competente a vagliare la costituzionalità delle singole leggi di differenziazione nel caso in cui venissero censurate con ricorso in via principale da altre Regioni o in via incidentale.

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