Le tappe dell’accordo prima dei licenziamenti
Pubblicato il 02 marzo 2009
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L’attuale situazione di mercato si riflette sul comportamento delle imprese costrette a mettere in atto alcune difficili ristrutturazioni aziendali, che coinvolgono sempre di più l’operato dei sindacati. Per evitare decisioni drastiche è, infatti, possibile ricorrere a nuove opzioni come, per esempio, quella che prevede la possibilità di iscrivere alle liste di mobilità i lavoratori che escono da imprese con meno di 15 dipendenti. Pertanto, la presenza o meno in organico di più di 15 dipendenti rappresenta lo spartitraffico fondamentale per le scelte di riorganizzazione aziendale.
Nel caso di più di 15 dipendenti, il datore di lavoro deve rispettare l’articolata disciplina introdotta nel nostro Paese in attuazione di disposizioni comunitarie dalla legge n. 223/91. E’ possibile, così, ricorrere al licenziamento collettivo, ma solo se prima è stata avviata una complessa procedura di informazione e consultazione sindacale che si articola in due fasi. La prima fase è quella finalizzata al raggiungimento di un accordo con i sindacati, che possa attenuare le ricadute sul piano sociale della riorganizzazione programmata dell’impresa. Raggiunto l’accordo, l’impresa può collocare in mobilità, cioè licenziare, i lavoratori in esubero comunicandogli il recesso nel rispetto dei termini di preavviso. Con il licenziamento collettivo, il datore di lavoro individua i lavoratori da licenziare tenendo conto delle esigente tecnico-produttive e organizzative dall’azienda, seguendo i criteri di scelta fissati nell’accordo sindacale. In mancanza dell’accordo, si seguono i criteri previsti dalla legge: carichi di famiglia, anzianità di servizio ed esigenze tecnico-produttive e organizzative. La legge n. 223/091 stabilisce che in caso di violazione della procedura descritta il licenziamento collettivo è da ritenersi inefficace, al di là delle ragioni che lo hanno indotto, con la conseguente applicazione della tutela reale prevista dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. A sua volta, il datore di lavoro può incorrere in un’azione del sindacato, ex articolo 28 dello Statuto, per condotta antisindacale. I lavoratori licenziati potranno iscriversi alle liste di mobilità e percepire l’omonima indennità per un periodo compreso tra i 12 e 1 48 mesi.
Per l’impresa che occupa meno di 15 dipendenti, e che vuole procedere a uno o più licenziamenti – senza che ricorrano i presupposti per il licenziamento collettivo – il datore di lavoro non è tenuto a esperire alcuna procedura di consultazione sindacale, ma può licenziare semplicemente inviando una comunicazione scritta, nel rispetto dei limiti del preavviso. Il lavoratore a sua volta, può sempre impugnare il licenziamento e contestarne la validità. I dipendenti licenziati possono iscriversi, fino al 31 dicembre 2009, alle liste di mobilità, ma non hanno diritto a percepire la relativa indennità. È possibile richiedere, però, l’indennità di disoccupazione in presenza dei requisiti di legge oppure lo speciale trattamento assimilabile alla stessa, che è stato introdotto dal Dl 185/08.
Il decreto anticrisi, convertito con la legge n. 2/2009, è intervenuto in materia di ammortizzatori sociali estendendo alcune misure di sostegno al reddito anche a soggetti che non rientrano nel campo di applicazione della cassa integrazione e della mobilità (sono stati istituiti, per esempio appositi fondi). Nella pagina del Quotidiano di oggi, è riportata la mappa aggiornata degli strumenti approvati dal Governo a sostegno del reddito.
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