Lavoro irregolare: commercialista condannato se sa della falsa documentazione

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Lavoro irregolare: commercialista condannato se sa della falsa documentazione

Concorso in false dichiarazioni o attestazioni nell'ambito di procedura di emersione di lavoro irregolare: colpevole il commercialista a conoscenza dell'inesistenza delle fatture trasmesse all'Agenzia Entrate.

E' stata confermata dalla Cassazione, con sentenza n. 19876 del 20 maggio 2022, la decisione con cui la Corte d'appello aveva condannato un professionista del reato di cui all'art. 5, comma 15, prima parte, del D. Lgs. n. 109/2012, per avere, in qualità di ragioniere commercialista, concorso alla presentazione all'Agenzia delle entrate di falsa documentazione reddituale, per conto del coimputato e nell'ambito di una procedura di emersione di lavoro irregolare.

L'imputato aveva impugnato la decisione di gravame lamentando violazione di legge e vizio di motivazione, in punto di valutazione della prova indiziaria a suo carico, priva - a suo dire - dei caratteri richiesti dall'art. 192, comma 2, cod. proc. pen.

Secondo la difesa del professionista, infatti, non vi erano elementi decisivi per sostenere la falsità della documentazione in parola, di cui egli non aveva avuto, in ogni caso, alcuna contezza.

Doglianza, questa, che non ha trovato accoglimento da parte della Suprema corte, in quanto ritenuta manifestamente infondata.

Le fatture, emesse dall'impresa cliente e trasmesse dall'imputato all'Agenzia delle entrate, erano ideologicamente false, e sul punto vi era prova storica convincente, adeguatamente illustrata dalla sentenza impugnata.

Dai controlli effettuati, sui quali aveva peraltro testimoniato in dibattimento il funzionario di polizia loro autore, era infatti risultato che le fatture in esame erano rappresentative di prestazioni e incassi inesistenti: esse non risultavano registrate nella contabilità delle imprese destinatarie delle medesime, molte delle quali non erano nemmeno più operative.

Del fatto, poi, che l'imputato fosse consapevole della falsità di tali fatture la Corte territoriale aveva fornito prova logica, parimenti ineccepibile: il ricorrente era il professionista che curava la contabilità sia dell'impresa del coimputato, sia delle imprese destinatarie e, pertanto, sapeva bene, in tale veste, che tra di esse non erano intervenuti rapporti commerciali di alcun genere.

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