Lavoratore disabile: un’aspettativa indifferenziata non è soluzione ragionevole

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Sì a una normativa nazionale che preveda la conservazione del posto per 180 giorni retribuiti, più 120 giorni non retribuiti su richiesta, anche senza prevedere misure specifiche per i lavoratori disabili.

Questo, a patto che tale normativa sia proporzionata alla finalità di garantire la capacità lavorativa del dipendente e non ostacoli il diritto del disabile a ricevere accomodamenti ragionevoli, ossia misure individualizzate e proporzionate per consentire al lavoratore disabile di mantenere il posto di lavoro.

Tuttavia, una normativa siffatta non rappresenta, da sola, una “soluzione ragionevole” ai sensi dell’articolo 5 della Direttiva 2000/78/CE.

Limite massimo di assenze per malattia e tutela dei lavoratori disabili

Con la sentenza dell’11 settembre 2025, pronunciata nella causa C-5/24, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha fornito la corretta interpretazione degli articoli 2, paragrafo 2, e 5 della Direttiva 2000/78/CE, in tema di parità di trattamento e accomodamenti ragionevoli per i lavoratori disabili.

La CGUE si è espressa sulla domanda di pronuncia pregiudiziale sollevata dal Tribunale ordinario di Ravenna nell'ambito di una controversia riguardante il licenziamento di una lavoratrice per aver superato i 180 giorni annui di assenza per malattia, come previsto dalla normativa nazionale applicabile.

La questione esaminata, nel dettaglio, ha riguardato la legittimità del contratto collettivo applicabile (CCNL per i dipendenti da aziende del settore turismo - Confcommercio – del 20 febbraio 2010) che prevede, per i lavoratori assenti per malattia, la conservazione del posto di lavoro per un periodo retribuito di 180 giorni all’anno, al quale può aggiungersi, in determinati casi e su richiesta del lavoratore, un periodo non retribuito di 120 giorni, non rinnovabile.

Le questioni pregiudiziali esaminate

Il Tribunale di Ravenna ha sottoposto alla Corte UE una serie di quesiti volti a chiarire se la normativa sul limite massimo di assenze per malattia:

  • configuri una discriminazione indiretta nei confronti dei lavoratori disabili;
  • possa essere giustificata da finalità legittime;
  • rappresenti un accomodamento ragionevole;
  • richieda l’introduzione di ulteriori periodi retribuiti;
  • sia rilevante, ai fini della legittimità del licenziamento, l’assenza di prospettive di rientro al lavoro.

La decisione della CGUE

Regime uniforme e assenza di disposizioni specifiche per i disabili  

Secondo la Corte, una normativa come quella in esame non è contraria al diritto dell’Unione, anche se non prevede un trattamento differenziato per i lavoratori disabili, purché siano soddisfatte due condizioni fondamentali:

Finalità legittima e proporzionalità della misura  

La normativa deve perseguire un obiettivo di politica sociale legittimo, come quello di garantire che i dipendenti siano in grado e disponibili a svolgere le proprie mansioni. Tale obiettivo può giustificare la previsione di limiti temporali all’assenza dal lavoro. Tuttavia, tali limiti devono essere proporzionati e non eccessivi rispetto alla finalità perseguita, in modo da evitare effetti discriminatori indiretti.

Tutela effettiva del diritto all’accomodamento ragionevole  

La disciplina non deve impedire l’attuazione dell’articolo 5 della direttiva, il quale obbliga il datore di lavoro ad adottare misure personalizzate per garantire che il lavoratore disabile possa mantenere l’occupazione, salvo che ciò comporti un onere sproporzionato per l’impresa. Il rispetto di tale obbligo rappresenta una condizione necessaria per la legittimità della normativa nazionale.

CGUE: il periodo aggiuntivo non retribuito non è una misura sufficiente  

L’aspettativa di 120 giorni non integra un accomodamento ragionevole  

La Corte ha precisato che una disposizione nazionale che prevede un periodo di aspettativa non retribuita di 120 giorni, successivo ai 180 giorni retribuiti, non può essere considerata, di per sé, un “accomodamento ragionevole”, se applicata indistintamente a tutti i lavoratori, indipendentemente dalla presenza di una disabilità.

L’accomodamento ragionevole, infatti, ai sensi dell’articolo 5 della direttiva, implica l’adozione di misure individualizzate e specifiche, finalizzate a favorire l’inclusione e la permanenza nel lavoro del disabile, e non può coincidere con previsioni standardizzate e non mirate.

Bilanciare esigenze aziendali e diritti dei disabili  

La Corte ha così ribadito un principio rilevante: è ammissibile una normativa che limita la durata dell’assenza per malattia, anche senza differenziare tra lavoratori disabili e non disabili, a condizione che:

  • la misura sia necessaria e proporzionata alla finalità di garantire l’efficienza organizzativa;
  • siano effettivamente applicabili le disposizioni che impongono l’adozione di accomodamenti ragionevoli, ove ricorra una condizione di disabilità.

In definitiva, una norma che non prevede obblighi specifici di adattamento per i lavoratori disabili rischia di violare la Direttiva 2000/78/CE, qualora impedisca un'adeguata tutela delle persone più esposte a lunghi periodi di malattia a causa della propria condizione.

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