Maternità solo ad avvocato madre
Pubblicato il 03 maggio 2016
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La Corte di cassazione ha rigettato il ricorso presentato da un avvocato, padre biologico, contro la decisione con cui i giudici di merito avevano respinto la sua domanda volta a percepire, a carico della Cassa nazionale forense, l’indennità di maternità ex articolo 70 del Decreto legislativo n. 151/2001 in luogo della moglie.
Ricorso avverso il diniego
L’avvocato, nella sua impugnazione, aveva invocato la precettività “autoapplicativa” della sentenza della Corte costituzionale n. 385/2005, concernente la fattispecie di un genitore adottivo e con cui era stata ritenuta discriminatoria la norma che non facoltizza anche il padre libero professionista al trattamento.
Nell’impugnazione, inoltre, era stata richiamata la necessità di una interpretazione costituzionalmente orientata e coerente con le linee evolutive del diritto sovranazionale e interno volta ad assimilare, nell’interesse della protezione nel suo complesso del nucleo familiare e della valorizzazione dei bisogni del bambino, la situazione del padre e della madre rispetto all’evento maternità, in funzione antidiscriminatoria.
Indennità a tutela salute madre biologica
Dopo un’ampia disamina sui principi fissati dalla Corte costituzionale e sull’evoluzione normativa in materia, la Suprema corte ha ribadito come la stessa Consulta abbia già evidenziato che nel caso dell’indennità di maternità sussista una specificità protettiva, giustificativa di una tutela più intensa della sola donna, che riguarda proprio la salute della madre biologica.
In detto contesto, la parità di trattamento tra i coniugi viene assicurata in relazione a diverse ipotesi come l’infermità della madre o il suo abbandono del nucleo familiare o nei casi di adozione ed affidamento che giustificano, per ragioni piuttosto evidenti, un’estensione anche al padre della provvidenza in discorso.
Per i giudici di legittimità, inoltre, il riferimento mosso dal ricorrente rispetto all’evoluzione del diritto sovranazionale non sarebbe di per sé determinante e conclusivo posto che l’esempio riportato dal legale e riferito alla direttiva sui congedi parentali dimostrerebbe solo come l’azione regolatrice dell’Ue abbia voluto l’equiparazione tra sessi per quel che concerne un istituto in cui viene prioritariamente in gioco l’interesse preminente del nucleo familiare e dei minori e non già quello della salute della donna-madre.
In definitiva – si legge nel testo della sentenza di Cassazione n. 8594 depositata il 2 maggio 2016 – la natura discriminatoria dell’esclusione dall’indennità di maternità dei genitori di sesso maschile non sembra presentare i denunciati connotati discriminatori né sotto il profilo interno né sotto quello sovranazionale.
Il ricorso del legale è stato, pertanto, respinto.
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