Indennità da licenziamento illegittimo e detrazione dell'aliunde perceptum

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Indennità da licenziamento illegittimo e detrazione dell'aliunde perceptum

Precisazioni della Corte di cassazione in ordine alla corretta detrazione dell'aliunde perceptum, ossia del reddito percepito dal lavoratore successivamente al recesso, utile alla riduzione dell'indennità di risarcimento da licenziamento illegittimo.

Con ordinanza n. 20313 del 23 giugno 2022, la Suprema corte si è pronunciata in riferimento a una causa instaurata ai fini della declaratoria di illegittimità del licenziamento comminato a una lavoratrice nell'ambito di un licenziamento collettivo.

La Corte territoriale aveva accolto le ragioni della dipendente riconoscendo che il recesso in questione fosse illegittimo per mancato rispetto dei criteri di scelta, con condanna della società datrice di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento, in favore della ricorrente, di un'indennità risarcitoria nella misura massima di 12 mensilità, detratto l'aliunde perceptum.

Da qui il ricorso in sede di legittimità della società datrice di lavoro, successivamente rinunciato, e quello incidentale della lavoratrice che lamentava un errato computo del periodo nel quale operare la detrazione dell'aliunde perceptum.

Gli Ermellini, nel dichiarare estinto il processo in ordine al ricorso principale in considerazione dell'intervenuta rinuncia, hanno tuttavia ritenuto di dover accogliere i rilievi avanzati dalla difesa della dipendente, secondo la quale l'aliunde perceptum va detratto nell'arco di tempo che va dal licenziamento alla reintegrazione, con la conseguenza che, ove i guadagni da lavoro percepiti non coprano tutto il periodo, il risarcimento liquidato spetta integralmente al lavoratore.

Il motivo di doglianza è stato giudicato fondato, con alcune precisazioni.

Indennità risarcitoria, come si calcola?

Sull'argomento, la Sesta sezione civile della cassazione ha richiamato e riaffermato il principio di diritto recentemente enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui: "In base all'articolo 18, comma 4, l. n. 300 del 1970, come modificato dall'articolo 1 comma 42, l. n. 92 del 2012, la determinazione dell'indennità risarcitoria deve avvenire attraverso il calcolo dell'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, a titolo di aliunde perceptum o percipiendum, e, comunque, entro la misura massima corrispondente a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto, senza che possa attribuirsi rilievo alla collocazione temporale della o delle attività lavorative svolte dal dipendente licenziato nel corso del periodo di estromissione; se il risultato di questo calcolo è superiore o uguale all'importo corrispondente a dodici mensilità di retribuzione, l'indennità va riconosciuta in misura pari a tale tetto massimo".

Nel caso esaminato, la Corte d'appello aveva disatteso questi principi, avendo erroneamente ritenuto detraibili dal tetto massimo di 12 mensilità dell'indennità risarcitoria le somme percepite dalla lavoratrice in assenza del previo calcolo del danno subito dalla stessa per la perdita delle retribuzioni nell'intero periodo di estromissione.

Solo all'esito di questo calcolo, per contro, si sarebbe dovuta operare la detrazione.

Da qui l'accoglimento del ricorso, con rinvio della decisione alla Corte d'appello, in diversa composizione, la quale, attenendosi ai principi richiamati, dovrà procedere al necessario accertamento, in fatto, dell'effettivo periodo di estromissione e, quindi, alla determinazione dell'indennità risarcitoria, attraverso il calcolo dell'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione nonché dell'ammontare dell'aliunde perceptum da detrarre.

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