Incentivo all’esodo dalla Banca in crisi. Bancarotta preferenziale?
Pubblicato il 06 aprile 2018
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La Cassazione si è pronunciata sulle misure cautelari disposte nell’ambito di una vicenda che riguardava una banca, in situazione di insolvenza, che aveva erogato all’ex direttore generale un’indennità supplementare, quale “incentivo all’esodo”, per effetto dell’accordo transattivo deliberato dal Consiglio di amministrazione dell’istituto di credito in sede di risoluzione del rapporto di lavoro.
Il Tribunale del riesame, in relazione alla contestazione del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, aveva disposto la misura del sequestro preventivo nella misura di oltre 470mila euro, corrispondente alla cosiddetta indennità supplementare, escludendo che il sequestro potesse riguardare la complessiva somma versata all’ex direttore, pari a oltre 700mila euro, vista l’asserita non illeceità della dazione della somma corrispondente a sette mensilità di retribuzione, pari all’indennità di preavviso.
Vicenda esaminata
La situazione di insolvenza in cui versava la banca si riconnetteva a diverse gravi criticità riscontrate nella medesima dagli organi ispettivi della Banca d’Italia a conclusione di alcune verifiche. Questi avevano portato alla luce carenze di funzionalità degli organi di governance della banca, con ricadute sulla qualità del portafoglio crediti, sulla redditività e sul patrimonio di vigilanza, tali da imporre un esteso ricambio negli organi medesimi.
Per effetto di questi comportamenti pregiudizievoli, era stato attivato anche un procedimento per sanzioni amministrative pecuniarie a carico, tra gli altri organi, anche del direttore generale, procedimento che aveva poi condotto alla proposta di irrogazione nei confronti di questi delle indicate sanzioni.
In detto contesto e in pendenza del procedimento amministrativo, il CDA aveva deliberato la revoca di tutti i poteri conferiti anche al presidente, trattando l’accordo per la risoluzione contrattuale del rapporto di lavoro sopra riferito, che riconosceva il citato “incentivo all’esodo”.
Possibile qualificare il fatto come bancarotta preferenziale
I giudici di legittimità, in particolare, hanno giudicato parzialmente fondato il ricorso sollevato dal Procuratore generale che, tra gli altri motivi, aveva eccepito il mancato esame, da parte del Tribunale del riesame, della richiesta di qualificare il fatto nei termini del delitto di bancarotta preferenziale, sul rilievo che, anche a fronte di un inquadramento del direttore generale come lavoratore subordinato, il titolo del pagamento (“incentivo all'esodo”) non rientrasse tra quelli di lavoro previsti dall'articolo 2751-bis cod.civ..
La Quinta sezione penale - sentenza n. 15279 del 5 aprile 2018 - ha ritenuto il motivo di appello in oggetto non manifestamente infondato, ricordando come, per affermata giurisprudenza di legittimità, “risponde di bancarotta preferenziale e non di bancarotta fraudolenta per distrazione l'amministratore che ottenga in pagamento di suoi crediti verso la società in dissesto, relativi a compensi e rimborsi spese, una somma congrua rispetto al lavoro prestato”.
Per la Corte, il Tribunale del riesame avrebbe dovuto esaminare la questione postagli, se non altro per respingerla in maniera argomentata; per questo motivo ha annullato il provvedimento impugnato, con rinvio per un nuovo esame.
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