Impugnabile il diniego all’istanza di interpello per la disapplicazione della disciplina delle società di comodo

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Nei giorni in cui si attendono le risposte dell’agenzia delle Entrate sulle istanze di interpello presentate dai contribuenti per la richiesta della disapplicazione della disciplina delle società di comodo, appare di grande attualità la sentenza n. 71 dello scorso 11 maggio della Commissione tributaria regionale di Bari.

La pronuncia muove dal fatto che un contribuente aveva presentato istanza di interpello per richiedere l’esonero dall’obbligo di rispettare i parametri minimi previsti per le società di comodo; ma l’agenzia delle Entrate ha rigettato l’istanza. Nei 60 giorni successivi, il contribuente ha presentato ricorso contro il diniego dell’ufficio davanti alla commissione tributaria provinciale, che ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso. A questo punto, il contribuente ha rimesso la questione alla Commissione tributaria regionale.

Le Entrate avevano giustificato il diniego dell’istanza di disapplicazione presentata dal contribuente basandosi sul fatto che tale atto non rientra nell’elenco degli atti impugnabili di cui all’articolo 19 del decreto legislativo sul contenzioso n. 546/92.

La Commissione regionale ha, invece, osservato che l’istanza di disapplicazione può essere considerata come un atto coattivo, in quanto deve essere obbligatoriamente presentata ogni anno se si vuole essere autorizzati alla disapplicazione della normativa sulle società di comodo e anche la Corte di Cassazione, recentemente, ha riletto l’elencazione degli atti impugnabili in chiave evolutiva, ricomprendendovi anche il citato diniego. Infatti, proprio con la sentenza n. 9669/2009, la Suprema Corte ha riconosciuto impugnabile il rifiuto di autotutela.

Il principio è stato ripreso ed esteso dalla recente pronuncia della Commissione pugliese, che con la sentenza n. 71/2010 ha ribadito espressamente che è impugnabile in Commissione tributaria il diniego opposto dall’ufficio all’istanza di interpello con cui il contribuente chiede la disapplicazione della disciplina delle società di comodo. Cioè, si ammette il principio che possono essere impugnati tutti gli atti che hanno un contenuto sostanzialmente impositivo, a prescindere dalla loro denominazione. L’eventuale inammissibilità del ricorso avverso il diniego potrebbe, anzi, essere considerato lesivo del diritto di difesa del contribuente e del principio di capacità contributiva, dato che lo stesso contribuente si troverebbe nella situazione di essere costretto a pagare per poi di richiedere il rimborso.

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