Il tempo per spostarsi dalla sede al cliente rientra nell'orario di lavoro
Pubblicato il 18 giugno 2024
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Nulla la clausola dell'accordo aziendale che, in riferimento al tempo di viaggio dei tecnici esterni per spostarsi dalla sede aziendale ai clienti, prevede una "franchigia" di 30 minuti non retribuiti.
Per la Corte di cassazione, si tratta di una previsione contraria alla normativa vigente e alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea.
E' quanto si legge nell'ordinanza n. 16674 del 17 giugno 2024, pronunciata dalla Cassazione con riguardo alla legittimità di una clausola applicata ai dipendenti di una società di telefonia che, per i loro interventi tecnici, si spostavano tra la sede e i clienti, utilizzando automezzi aziendali.
Il tempo di viaggio dalla sede aziendale ai clienti va retribuito
Il caso esaminato
La clausola in contestazione considerava al di fuori dell'orario di lavoro il tempo impiegato dai tecnici per recarsi presso il cliente, provenendo dalla sede aziendale, e per fare ritorno alla sede medesima, convenzionalmente stabilito in 30 minuti.
Solo il tempo eccedente i 30 minuti giornalieri (15 minuti all'andata e 15 al ritorno) sarebbe stato retribuito.
Il ricorso dei tecnici esterni
I dipendenti avevano impugnato l'accordo aziendale davanti al Tribunale, sostenendo che la clausola in esame fosse in contrasto con la norma imperativa dettata dall’art. 1, comma 2, lett. a), Decreto legislativo n. 66/2003.
Articolo, questo, secondo cui è orario di lavoro qualsiasi periodo in cui il lavoratore è al lavoro a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività e delle sue funzioni.
Secondo i lavoratori, inoltre, la clausola in esame risultava contrastare anche con la giurisprudenza della CGUE.
Per questi motivi, i tecnici avevano chiesto di dichiarare la nullità parziale dell'accordo e il pagamento dei compensi non retribuiti.
Le decisioni dei giudici di merito
Il Tribunale, in primo grado, aveva rigettato la domanda dei dipendenti, sostenendo che mancasse la prova concreta del tempo impiegato.
La Corte d'Appello, invece, aveva parzialmente accolto le doglianze dei lavoratori, dichiarando la nullità della clausola di franchigia e riconoscendo il diritto alla retribuzione del tempo di viaggio.
In questa sede, tuttavia, i giudici di secondo grado avevano rigettato la domanda volta alla condanna della società datrice di lavoro al pagamento delle differenze retributive dovute.
I tecnici hanno impugnato la decisione su questo ultimo punto, promuovendo ricorso davanti alla Corte di Cassazione.
La decisione della Corte di cassazione
La Sezione Lavoro della Cassazione ha ritenuto fondato il motivo di ricorso.
Una volta dichiarata la nullità della clausola, ossia, la Corte territoriale avrebbe dovuto dedurre che il tempo impiegato dagli odierni ricorrenti per recarsi presso il cliente e per fare ritorno alla sede aziendale fosse certamente da retribuire, in omaggio al principio di corrispettività delle prestazioni.
In tale prospettiva consequenziale, la mancata specifica allegazione dei tempi in concreto impiegati in ciascun giorno lavorativo doveva ritenersi rilevare:
- non ai fini dell’esistenza del diritto alle conseguenti differenze retributive (posto che era pacifico che si trattava di tecnici esterni);
- ma solo ai fini della loro quantificazione (ben potendo quei tempi di lavoro essere anche inferiori ai 30 minuti giornalieri).
Pertanto, la Corte d'appello avrebbe dovuto procedere al relativo accertamento sulla base:
- delle istanze (anche di consulenza tecnica d’ufficio) riproposte dagli appellanti;
- del pacifico sistema aziendale di geolocalizzazione dell’automezzo impiegato dai tecnici per recarsi dai clienti e per fare ritorno alla sede aziendale.
A tal fine, la Corte di legittimità ha disposto la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio per effettuare il predetto accertamento ai fini della precisa liquidazione delle differenze retributive.
Nella disamina, la Suprema corte ha altresì richiamato il principio di diritto secondo cui:
“Il tempo preparatorio della prestazione lavorativa rientra nell'orario di lavoro se le relative operazioni si svolgano sotto la direzione e il controllo del datore di lavoro; ne consegue che - in ipotesi di personale tecnico "on field", addetto all'installazione e alla manutenzione degli impianti presso le abitazioni e i locali dei clienti, dotato di un terminale aziendale attraverso il quale visualizzare i luoghi degli interventi da compiere, "timbrare" l'orario di inizio del lavoro e ricevere le disposizioni datoriali - sono da considerare nulli gli accordi collettivi che prevedano una franchigia temporale, entro la quale è posto a carico dei lavoratori il tempo necessario per il trasferimento dal luogo di ricovero del mezzo aziendale a quello del primo intervento, nonché, alla fine della giornata lavorativa, per il tragitto inverso" (Cassazione n. 37286/2021).
I punti salienti della pronuncia
- Nullità della clausola di franchigia: La Cassazione ha confermato la nullità della clausola che escludeva il tempo di viaggio dalla retribuzione, in quanto contraria alla normativa vigente (art. 1, co. 2, D. Lgs. n. 66/2003) e alla giurisprudenza della CGUE.
- Riconoscimento del tempo di viaggio come tempo di lavoro: La Suprema corte ha stabilito che il tempo di viaggio deve essere considerato tempo di lavoro, poiché i tecnici sono sotto la direzione e il controllo del datore di lavoro durante questi spostamenti.
- Procedura di quantificazione delle differenze retributive: La Corte ha cassato la sentenza della Corte d'Appello per non aver proceduto all'accertamento del tempo effettivo di viaggio e delle relative differenze retributive, sottolineando la necessità di utilizzare il sistema di geolocalizzazione aziendale per determinare con precisione i tempi di spostamento.
- Conservazione del contratto: E' stata rigettata la richiesta di nullità totale dell'accordo aziendale: la nullità è stata limitata alla sola clausola contestata, sostituendola con la norma imperativa.
Tabella di sintesi dell'ordinanza
Sintesi del Caso | I tecnici di una società di telefonia, utilizzando automezzi aziendali, si spostavano tra la sede aziendale e i clienti. Un accordo aziendale prevedeva che il tempo di viaggio non fosse retribuito per i primi 30 minuti giornalieri (15 minuti all'andata e 15 al ritorno). I tecnici hanno impugnato l'accordo sostenendo che fosse contrario alla normativa vigente e alla giurisprudenza della CGUE. |
Questione Dibattuta | Se la clausola dell'accordo aziendale che escludeva dalla retribuzione il tempo di viaggio dei tecnici per i primi 30 minuti giornalieri fosse valida, o se dovesse essere considerata nulla in quanto contraria alla normativa e alla giurisprudenza europee. |
Soluzione della Corte di cassazione | La Corte di Cassazione ha dichiarato nulla la clausola dell'accordo aziendale che escludeva dalla retribuzione il tempo di viaggio dei tecnici per i primi 30 minuti giornalieri. Ha stabilito che il tempo di viaggio deve essere considerato come tempo di lavoro retribuito e ha rinviato alla Corte d'Appello per determinare con precisione le differenze retributive dovute utilizzando il sistema di geolocalizzazione aziendale. |
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