Il diritto al trasferimento ex Legge 104 non è assoluto e illimitato

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Il diritto al trasferimento ex Legge 104 non è assoluto e illimitato

Il diritto del lavoratore a scegliere la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona disabile da curare non è un diritto assoluto.

La norma di cui all’art. 33 comma 5, Legge n. 104/1992 che lo prevede, infatti, precisa che tale diritto sussiste solo "ove possibile".

E’ alla luce di tale assunto che la Corte di cassazione, con ordinanza n. 22885 del 13 agosto 2021, ha definitivamente respinto la domanda di una dipendente pubblica, volta a far accertare il proprio diritto ad ottenere, ai sensi del richiamato art. 33, comma 5, il trasferimento presso la sede più vicina al domicilio della madre, portatrice di handicap grave, che la stessa assisteva.

A fronte delle doglianze con cui la lavoratrice aveva impugnato, in sede di legittimità, la decisione della Corte territoriale di conferma del diniego, gli Ermellini hanno sottolineato come la norma di riferimento fosse stata correttamente interpretata dai giudici di merito.

Per come ribadito, infatti, dalla giurisprudenza della Cassazione, il diritto di scelta della sede più vicina al domicilio della persona invalida da assistere non è un diritto soggettivo assoluto ed illimitato ma è assoggettato al potere organizzativo dell'Amministrazione che, in base alle proprie esigenze organizzative, potrà rendere il posto "disponibile" tramite un provvedimento di copertura del posto "vacante".

Interesse del dipendente da bilanciare con quello economico - organizzativo del datore

Secondo la Suprema corte, inoltre, l'inciso "ove possibile" è da intendere alla luce del necessario bilanciamento degli interessi in conflitto, ossia interesse al trasferimento del dipendente ed interesse economico - organizzativo del datore di lavoro.

In particolare, è stato anche sottolineato come l’esercizio di tale diritto non possa ledere le esigenze economiche, produttive od organizzative del datore di lavoro e, soprattutto nei casi di rapporto di lavoro pubblico, non possa tradursi in un danno per l'interesse della collettività.

Così, in caso di trasferimento a domanda, l'esigenza familiare è di regola recessiva rispetto a quella di servizio, essendo, ad esempio, necessario, per scongiurare un danno alla collettività, garantire la copertura e la continuità del servizio stesso, oltre che la stessa funzionalità della sede a quo, piuttosto che valutare l'impatto sulla sede ad quem.

Il diritto in esame costituisce uno strumento indiretto di tutela in favore delle persone in condizione di handicap, attraverso l'agevolazione del familiare lavoratore nella scelta della sede ove svolgere l'attività lavorativa al fine di rendere quest'ultima il più possibile compatibile con la funzione solidaristica di assistenza del soggetto invalido. Esso, tuttavia, non è l'unico strumento posto a tutela della solidarietà assistenziale.

Nel caso esaminato, è stato ritenuto che la Corte territoriale avesse fatto corretta applicazione di tali principi, avendo affermato che il diritto al trasferimento sussistesse in presenza del requisito della "vacanza" del posto e qualora il posto fosse stato anche reso "disponibile" dalla decisione organizzativa della PA di coprire il posto vacante.

E nella specie, era stato accertato che presso gli uffici richiesti non vi erano posti "disponibili" dovendosi, pertanto, escludere che si potesse dar luogo ad un trasferimento della lavoratrice.

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