Il datore non garantisce la sicurezza? L'inadempimento del dipendente è giustificato

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Il datore non garantisce la sicurezza? L'inadempimento del dipendente è giustificato

Reintegrata la cassiera di supermercato alla quale era stato contestato di aver operato in modo negligente.

La Cassazione, con ordinanza n. 770 del 12 gennaio 2023, ha confermato la decisione con cui la Corte d'appello aveva giudicato illegittimo il recesso disciplinare impartito da una società cooperativa ad una propria dipendente.

La lavoratrice, una cassiera, era stata licenziata per giusta causa per avere consentito, mentre lavorava presso la cassa del supermercato, che tre clienti oltrepassassero la barriera della cassa lasciando i prodotti nei carrelli.

La stessa, per come dettagliatamente contestatole, aveva omesso di invitare i predetti clienti a depositare la merce sul nastro trasportatore, come prescritto dal regolamento aziendale, e di eseguire un controllo diretto, limitandosi, invece, a registrare sul misuratore fiscale le quantità di ciascuna tipologia di prodotto indicate dagli stessi clienti, in misura notevolmente inferiore a quelle effettive.

L'intervento di un addetto alla vigilanza - che in accordo con i responsabili del negozio aveva provveduto a chiamare i carabinieri - aveva consentito di verificare che i tre clienti avevano pagato merce per circa mille euro, prelevandone altrettanta non pagata per quasi il doppio dell'importo.

La condotta contestata alla donna consisteva, di fatto, nell’avere operato in modo negligente; non le era stata addebitata, invece, alcuna forma di agevolazione concordata o di partecipazione al tentativo di furto della merce non pagata.

Secondo la Corte di appello, ciò posto, il comportamento della dipendente non era meritevole di alcuna sanzione espulsiva in quanto privo del carattere di illiceità e irrilevante dal punto di vista disciplinare.

Il datore di lavoro, a ben vedere, essendo tenuto a proteggere i dipendenti, non poteva pretendere che la lavoratrice si ponesse da sola in contrasto con quei clienti.

Per gli Ermellini, l'accertamento in fatto operato dalla Corte di gravame era corretto e non censurabile in sede di legittimità.

La parte datoriale era venuta meno, in quello specifico frangente, al dovere di protezione della dipendente rispetto ai comportamenti minacciosi da parte dei tre clienti, o, comunque, così percepiti dalla cassiera secondo un atteggiamento di buona fede e come tali idonei ad esporre la stessa a pericolo per la propria incolumità.

Con specifico riferimento alla violazione da parte del datore di lavoro dell'obbligo di sicurezza di cui all'art. 2087 c.c., è stato rammentato come sia "legittimo il rifiuto del lavoratore di eseguire la propria prestazione, conservando, al contempo, il diritto alla retribuzione in quanto non possono derivargli conseguenze sfavorevoli in ragione della condotta inadempiente del datore, posto che è in gioco il diritto alla salute di rilievo costituzionale".

Inoltre, in tema di licenziamento disciplinare per giusta causa, è stato ribadito che il rifiuto del lavoratore di adempiere la prestazione secondo le modalità indicate dal datore di lavoro è idoneo, ove non improntato a buona fede, a far venir meno la fiducia nel futuro adempimento e a giustificare pertanto il recesso.

E nella specie, l’inadempimento posto in essere dalla dipendente risultava legittimo e giustificato, in quanto improntato a buona fede e conseguente al mancato adempimento del datore all'obbligo di proteggere i propri dipendenti.

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