I compensi agli amministratori sono deducibili. E il Fisco non può contestarne la congruità

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La questione della deducibilità dei compensi agli amministratori di società è più volte entrata e uscita dalle aule della Corte di Cassazione.

L’ordinanza n. 18702 del 13 agosto 2010 ha rappresentato una vera e propria chiusura sull’argomento, sentenziando che i compensi agli amministratori di società di capitali non sono deducibili, mentre lo sarebbero, invece, i compensi attribuiti agli amministratori di società di persone. La posizione ha aperto la strada a numerose critiche e preoccupazioni tra gli operatori, che hanno condotto ad un’interrogazione parlamentare (30 settembre scorso) con cui si è tentato di correggere il tiro rispetto all’ordinanza citata.

La pronuncia di agosto si basa sull’interpretazione della disposizione contenuta nell’articolo 62, commi 2 e 3 del Tuir, nella versione precedente alla riforma Ires. La risposta all’interrogazione parlamentare, invece, fa riferimento al principio di cassa, che rinvia la materia della deducibilità dei compensi degli amministratori di società di capitali al comma 5 dell’articolo 95 del Tuir, il quale prevede la deducibilità dal reddito di impresa dei compensi corrisposti agli amministratori di società di capitali.

La questione è poi stata oggetto, di nuovo, di analisi da parte della Suprema Corte e, per ora, sembra aver trovato una formulazione definitiva con la recente sentenza n. 24957, del 10 dicembre scorso.

Con tale nuovo intervento, la Corte - ammettendo una certa confusione sul punto nella giurisprudenza di legittimità - stabilisce la deducibilità dei compensi corrisposti agli amministratori. Il principio vale sia per il compenso riconosciuto ai manager delle società di capitali che per quelli delle società di persone. A tal proposito, la Corte sancisce che non è previsto alcun riferimento “a tabelle o a altre indicazioni vincolanti che pongano limiti massimi di spesa”. Di conseguenza, la spettanza e la deducibilità dei compensi agli amministratori, per la Corte, è determinata dal consenso che si forma tra le parti, senza che all’Amministrazione sia riconosciuto un potere specifico di valutazione di congruità. Le norme antielusione presenti consentiranno all’Erario di valutare compensi insoliti o sproporzionati.

Con la pronuncia è stato dunque ribadito l’orientamento prevalente della non sindacabilità della congruità dei compensi attribuiti agli amministratori di società, che si è andato col tempo affermando e che solo con la pronuncia in esame è stato posto come principio di diritto. La sentenza ribadisce, inoltre, anche un altro principio cardine che è quello della prevalenza della qualità del costo sulla quantità dello stesso, con la libertà per l’imprenditore di impostare la sua strategia d’impresa. Il costo viene riconosciuto come inerente e utile a creare ricavi; dunque, accettato tale principio è difficile stabilire in quale misura esso sia deducibile, soprattutto in assenza di una specifica indicazione normativa che ponga un tetto alle spese.
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