Fecondazione assistita: l'uomo non può ritirare il consenso. La decisione della Consulta

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Fecondazione assistita: l'uomo non può ritirare il consenso. La decisione della Consulta

Con sentenza n. 161 del 24 luglio 2023, la Corte costituzionale si è pronunciata sulla legittimità della disposizione della Legge 40 che, nell’ambito della procreazione medicalmente assistita (PMA), stabilisce la irrevocabilità del consenso dell’uomo dopo la fecondazione dell’ovulo.

Si tratta della norma di cui all'art. 6, comma 3, ultimo periodo, della Legge n. 40/2004, la quale consente, per effetto della crioconservazione, la richiesta dell’impianto degli embrioni non solo a distanza di tempo ma anche quando sia venuto meno l’originario progetto di coppia.

La Consulta, in particolare, ha risposto alle questioni di legittimità costituzionale che erano state sollevate dal Tribunale ordinario di Roma, per asserito contrasto con gli artt. 2, 3, 13, primo comma, 32, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Le predette questioni erano emerse nell'ambito di un giudizio in cui una donna aveva richiesto l’impianto dell’embrione crioconservato, nonostante nel frattempo fosse intervenuta la separazione dal coniuge, il quale, invece, si era opposto, ritirando il consenso precedentemente prestato e ritenendo di non poter essere obbligato a diventare padre.

Irrevocabilità del consenso: bilanciamento non irragionevole

Le ragioni esposte dal giudice rimettente sono state ritenute non fondate dalla Consulta, considerato il non irragionevole bilanciamento operato dal legislatore nella previsione censurata.

Ebbene, per la Corte, l’irrevocabilità del consenso appare funzionale a salvaguardare i preminenti interessi in gioco.

L’accesso alla PMA comporta, per la donna, "il grave onere di mettere a disposizione la propria corporalità, con un importante investimento fisico ed emotivo in funzione della genitorialità che coinvolge rischi, aspettative e sofferenze, e che ha un punto di svolta nel momento in cui si vengono a formare uno o più embrioni".

A questo investimento, che ha determinato il sorgere di una concreta aspettativa di maternità, la donna si è prestata in virtù dell’affidamento in lei determinato dal consenso dell’uomo al comune progetto di diventare genitori.

In tale contesto, se è pur vero che dopo la fecondazione la disciplina dell’irrevocabilità del consenso si configura come "un punto di non ritorno", che può risultare freddamente indifferente al decorso del tempo e alle vicende della coppia, è anche vero che la centralità che lo stesso consenso assume nella PMA, comunque garantita dalla legge, fa sì che l’uomo sia in ogni caso consapevole della possibilità di diventare padre.

Ove, quindi, si considerino la tutela della salute fisica e psichica della madre, e anche la dignità dell’embrione risulta non irragionevole la compressione, in ordine alla prospettiva di una paternità, della libertà di autodeterminazione dell’uomo.

In ogni caso - conclude la Consulta - "la ricerca, nel rispetto della dignità umana, di un ragionevole punto di equilibrio, eventualmente anche diverso da quello attuale, fra le diverse esigenze in gioco in questioni che toccano temi eticamente sensibili non può che spettare primariamente alla valutazione del legislatore".

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