Esonero 2018 (parte 2): la sospensione per crisi e il concetto di unità produttiva
Pubblicato il 26 aprile 2018
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Proseguendo l’analisi inerente all’esonero introdotto dalla Legge di Bilancio 2018, il datore di lavoro è tenuto a rispettare un triplice ordine di condizioni per accedere allo sgravio e segnatamente è tenuto a osservare:
- i principi generali stabiliti dall’articolo 31 D.lgs. n. 150/15;
- le condizioni stabilite dall’articolo 1 commi 1175 e 1176 della L. n. 296/2006;
- i vincoli introdotti dalla Legge di Bilancio 2018.
In questo contributo verranno trattati i principi generali, con particolar riferimento alle sospensioni per crisi e al concetto di unità produttiva.
I principi generali
L’art. 31 comma 1 lett. a) del D.lgs. n. 150 cit. stabilisce che “gli incentivi non spettano se l’assunzione costituisce attuazione di un obbligo preesistente, stabilito da norme di legge o della contrattazione collettiva, anche nel caso in cui il lavoratore avente diritto all’assunzione viene utilizzato mediante contratto di somministrazione”.
A titolo esemplificativo costituiscono assunzioni attuative di un obbligo di legge quelle effettuate in applicazione:
- dell’art. 24 del D.lgs. n. 81/15 (assunzione a tempo indeterminato, con le medesime mansioni del lavoratore che, nell’esecuzione di uno o più contratti a tempo determinato presso la stessa azienda, ha prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi);
- dell’art. 3 della L. n. 68/99 (assunzione dei lavoratori diversamente abili).
Allo stesso modo costituiscono assunzioni attuative di un obbligo contrattuale quelle eseguite in applicazione di clausole sociali contenute nei contratti collettivi. Tali clausole sono generalmente applicate nel settore delle pulizie.
Tuttavia la circolare n. 40/2018 dell’INPS ha ritenuto che l’esonero previsto dalla Legge di Bilancio 2018 costituisce una misura speciale, perché volta a promuovere l’occupazione giovanile in maniera stabile e pertanto è idonea a derogare al principio di cui all’art. 31 comma 1 lett. a) del D.lgs. n. 150 cit..
Il diritto di precedenza
L’art. 31 comma 1 lett. b) del D.lgs. n. 150 cit. richiama l’assunzione effettuata in applicazione del diritto di precedenza. Sul punto la circolare n. 40 dell’INPS, aderendo all’orientamento formulato dal Ministero del Lavoro con risposta a interpello n. 7/2016, osserva che l’applicazione di tale principio postula da parte del lavoratore la manifestazione per iscritto, entro i termini di legge, della volontà di avvalersi della prerogativa legale. In mancanza o nelle more di tale manifestazione di volontà il datore di lavoro può legittimamente procedere all’assunzione di altri lavoratori o alla trasformazione di altri rapporti di lavoro a termine. Si richiama sotto tale aspetto la necessità da parte del datore di lavoro di specificare, nella lettera di assunzione consegnata al lavoratore, la circostanza che quest’ultimo è titolare di un diritto di precedenza nelle assunzioni.
Le sospensioni per crisi o riorganizzazione
Altro principio generale, elencato dalla lett. c) dell’art. 31 comma 1 del D.lgs. n. 150 cit., è rappresentato dall’assenza, nell’azienda del datore di lavoro o dell’utilizzatore “di sospensioni dal lavoro connesse ad una crisi o riorganizzazione aziendale, salvi i casi in cui l’assunzione, la trasformazione o la somministrazione siano finalizzate all’assunzione di lavoratori inquadrati ad un livello diverso da quello posseduto dai lavoratori sospesi o da impiegare in diverse unità produttive”.
La fattispecie necessità di un approfondimento perché la circolare n. 40 cit. dell’INPS si limita a richiamare semplicemente il dettato normativo.
Anzitutto la disposizione fa riferimento alle “sospensione connesse ad una crisi o riorganizzazione aziendale”.
Queste ultime sono locuzioni positivizzate dall’art. 21 comma 1 lett. a), b) del D.lgs. n. 148/15 per le causali di intervento della cassa integrazione straordinaria. Ciò lascia supporre che l’utilizzo di tale sussidio, così come, sebbene non richiamati espressamente, quelli correlati ai contratti di solidarietà, ovvero dei fondi di solidarietà, sia preclusivo alla conseguimento dell’esonero. Anche la cassa integrazione ordinaria genera un sospensione per crisi. Però la natura transeunte di tale intervento non appare ostativa per l’accesso alla misura di cui alla L. n. 205 cit..
Fuoriesce dall’ambito applicativo della predetta limitazione, e quindi consente l’accesso all’esonero contributivo, l’assunzione di un lavoratore inquadrato in un livello differente rispetto a quello di appartenenza del dipendente sospeso.
Per effetto delle modifiche apportate dal D.lgs. n. 81 cit all’art. 2103 c.c. non pare che il livello di inquadramento possa essere letto disgiuntamente dal riferimento alla categoria legale. Pertanto, e salve le ipotesi di inquadramento unico, affinché operi la preclusione di cui all’art. 31 comma 1 lett. c) occorre che il lavoratore assunto ricopra la medesima categoria e lo stesso livello di inquadramento del o dei lavoratori sospesi.
Terza considerazione, perché operi la deroga stabilita dalla seconda parte dell’art. 31 comma 1 lett. c) del D.lgs. n. 81 cit. occorre che l’evento sospensivo interessi lavoratori occupati in una unità produttiva differente rispetto a quella di appartenenza del lavoratore assunto.
Qui il discorso appare molto complesso giacché si tratta di individuare il significato di “unità produttiva”. Al riguardo concorrono molteplici approfondimenti.
Il concetto di unità produttiva
In primo luogo viene in rilievo la previsione di cui all’art. 2 comma 1 lett. a) del D.lgs. n. 81/08 che definisce l’unità produttiva come lo “stabilimento o struttura finalizzati alla produzione di beni o all’erogazione di servizi, dotati di autonomia finanziaria e tecnico funzionale”. Tale previsione però dispiega i propri effetti nella materia dell’igiene e della sicurezza, la quale invero è disciplinata dal D.lgs. n. 81/08, e non riguarda invece la materia lavoristica strettamente intesa.
Altro criterio è offerto dalla giurisprudenza. Quest’ultima si è occupata dell’unità produttiva a proposito del trasferimento del lavoratore e del dirigente sindacale, la cui disciplina è contenuta rispettivamente negli art. 2013 c.c. e 22 della L. n. 300/70.
Il recente arresto pretorio intende per unità produttiva “[…] non ogni sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto dell’impresa, ma soltanto la più consistente e vasta unità aziendale che, eventualmente articolata in organismi minori, anche non ubicati tutti nel territorio del medesimo comune, si caratterizzi per condizioni imprenditoriali di indipendenza tecnica ed amministrativa, tali che in essa si esaurisca per intero il ciclo relativo ad una frazione o ad un momento essenziale dell’attività produttiva aziendale”. Su tale presupposto la S.C. esclude che possano essere qualificate in termini unità produttiva quelle “articolazioni aziendali che, sebbene dotate di una certa autonomia amministrativa, siano destinate a scopi interamente strumentali o a funzioni ausiliarie, sia rispetto ai generali fini dell’impresa, sia rispetto ad una frazione dell’attività produttiva della stessa” (cfr. in tema di trasferimento del lavoratore cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 14/06/1999, n. 5892, in ordine al trasferimento del dirigente sindacale cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 22/08/2003, n. 12349 e in materia di licenziamento e più recentemente cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 22/07/2016, n. 15211).
Si tratta di una posizione che dilata eccessivamente la nozione di unità produttiva e che per tale ragione non convince.
È sufficiente osservare che se il comune denominatore dell’unità produttiva è rappresentato dai “fini generali dell’impresa” allora, per conseguenza, tutte le articolazioni aziendali assumono, rispetto a tali fini, valenza servente. Il risultato di tale prospettiva è quello di neutralizzare la dimensione e l’autonomia dell’unità produttiva. In altre parole, tale definizione prova troppo e finisce per espungere l’istituto dall’ordinamento.
In secondo luogo la definizione di unità produttiva, così come descritta dalla S.C. si sovrappone e si confonde con il diverso e più ampio concetto di “parte dell’azienda” di cui all’art. 2112 comma 5 c.c., giuridicamente intesa come articolazione funzionalmente autonoma. Il ramo di azienda è qualificato infatti come entità economica organizzata in modo stabile e destinata all’esecuzione di beni o servizi determinati (cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 26/01/2012, n. 1085). Orbene la circostanza che il codice civile abbia adoperato termini differenti per designare l’unità produttiva e il ramo di azienda è di per sé significativa che tali istituti hanno significati e ambiti applicativi diversi. Vero è piuttosto che l’unità produttiva rappresenta un minus rispetto alla parte di azienda.
In chiave osmotica è anche quell’indirizzo giurisprudenziale che, pur restringendo i termini di riferimento e omettendo il richiamo ai fini generali dell’impresa, qualifica l’unità produttiva come “articolazione autonoma dell’azienda, avente, sotto il profilo funzionale e finalistico, idoneità ad esplicare, in tutto o in parte, l’attività dell’impresa medesima, della quale costituisca una componente organizzativa, connotata da indipendenza tecnica ed amministrativa tali che in essa si possa concludere una frazione dell’attività produttiva aziendale” (cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 30/09/2014, n. 20600).
Quanto alla prassi, la circolare n. 197 del 2015 dell’INPS, nel dettare istruzioni in materia di cassa integrazione, ha identificato l’unità produttiva con “la sede legale, gli stabilimenti, le filiali e i laboratori distaccati dalla sede, che abbiano una organizzazione autonoma” A tal fine l’Istituto sottolinea che “costituiscono indice dell’organizzazione autonoma lo svolgimento nelle sedi, stabilimenti, filiali e laboratori distaccati, di un’attività idonea a realizzare l’intero ciclo produttivo o una sua fase completa, unitamente alla presenza di lavoratori in forza in via continuativa”. Ulteriori precisazioni sono contenute nella circolare dell’Istituto n. 56 del 2017, mentre una specifica definizione di unità produttiva si rinviene nel messaggio INPS n. 1444 del 2017. Quest’ultima nota pone in evidenza tre requisiti che l’unità produttiva deve possedere per essere definita tale:
- autonomia finanziaria o tecnico funzionale;
- idoneità a realizzare l’intero ciclo produttivo o una fase completa dello stesso;
- l’adibizione di maestranze adibite in via continuativa.
Nel richiamare l’attenzione sulla “o” disgiuntiva interposta tra il criterio finanziario e quello tecnico funzionale, vale osservare anche che non si rivengono indirizzi in merito dal parte del Ministero del Lavoro, se non la nota prot. n. 9631 del 14 giugno 2017 in cui è stata riconosciuta natura di unità produttiva al cantiere mobile, purché precisa il Dicastero, i lavori si protraggano per una durata superiore a 30 giorni.
A fronte di tali plurimi indirizzi si è dell’opinione, conformemente a un indirizzo risalente, ma persuasivo, che l’unità produttiva non sia una nozione univoca e omnicomprensiva e vada piuttosto sottoposta a un processo di relativizzazione, funzionale agli interessi sostanziali che investono il caso concreto. Tale processo di relativizzazione deve comunque tener conto che la locazione “unità produttiva” è stata coniata dal Legislatore, onde apprestare una tutela alla dignità del lavoratore e di proteggere l’insieme di relazioni interpersonali che legano quest’ultimo ad un determinato complesso produttivo (cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 30/09/2014, n. 20600).
Ciò è particolarmente vero non solo nelle ipotesi di cui all’art. 2103 comma 8 c.c. ma anche in caso di svolgimento da parte del dipendente di attività sindacale intesa come attività comprensiva di tutti quei comportamenti assunti dal lavoratore, tanto con il patrocinio formale del sindacato o dei sui rappresentanti, quanto con iniziative personali, avallate con il consenso espresso o anche tacito del predetto organismo, comunque diretti, in contrapposizione al datore di lavoro, a far valere posizioni rivendicazioni inerenti a questioni di lavoro (cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 05/11/1998, n. 11147).
In tal evenienza infatti l’art. 22 della L. n. 300/70 subordina il trasferimento del sindacalista da un’unità produttiva a un’altra al preventivo nulla osta dell’organizzazione sindacale in cui il predetto è iscritto, onde garantire la stabilità del rapporto tra sindacato e affiliati e al tempo stesso tutelare la professionalità e l’affermazione dell'identità, personale e sociale del lavoratore, quali valori protetti dagli artt. 1, 2 e 4 Cost.
Le considerazioni espresse sono frutto esclusivo dell’opinione degli autori e non impegnano l’amministrazione di appartenenza
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