Esenzione IVA legittima anche a posteriori se l’importatore è in buona fede
Pubblicato il 27 ottobre 2018
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La Corte di Giustizia Ue, con la sentenza relativa alla causa C-528/17 del 25 ottobre 2018, dirime una controversia circa un avviso di imposizione a posteriori relativo al prelievo dell’Imposta sul valore aggiunto su operazioni di importazione di banane a partire da paesi terzi.
La domanda di pronuncia pregiudiziale sollevata dai giudici sloveni verte sull’interpretazione dell’articolo 143 della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’Imposta sul valore aggiunto, secondo il quale gli Stati membri esentano dall'imposta le importazioni di beni di provenienza extraUe, destinati ad uno Stato membro diverso da quello d'introduzione nell'Ue, se la cessione dei beni, effettuata dall'importatore designato o riconosciuto come debitore dell'imposta, integra una cessione intracomunitaria esente conformemente all'articolo 138 della Direttiva (disposizione recepita nel nostro Ordinamento all'articolo 67, comma 2-bis, Dpr n. 633/72).
L’importatore deve agire in buona fede per non pagare l’IVA a posteriori
La Corte Ue ribadisce nelle sue considerazioni come, nell'ambito dell'esenzione delle cessioni intracomunitarie, è legittimo esigere che l'operatore agisca in buona fede e adotti tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere per assicurarsi che l'operazione effettuata non lo conduca a partecipare ad un'evasione tributaria. Solo nel caso in cui si accerti che lo stesso operatore sapesse o avrebbe dovuto sapere che l'operazione effettuata rientrava in un'evasione posta in essere dall'acquirente e non abbia adottato tutte le misure ragionevoli a sua disposizione per evitare l'evasione, il beneficio dell'esenzione deve essere negato.
Osserva, poi, la Corte che la suddetta responsabilità del fornitore, circa il pagamento dell’IVA a posteriori, deve essere valutata in modo diverso da quanto previsto dal Codice doganale (articolo 78, paragrafo 3), secondo il quale: nel caso in cui si accerti da controlli a posteriori che le disposizioni che disciplinano il regime doganale considerato sono state applicate in base ad elementi inesatti o incompleti, l’autorità doganale, nel rispetto delle norme in vigore e tenendo conto dei nuovi elementi di cui essa dispone, adotta i provvedimenti necessari per regolarizzare la situazione. Pertanto, l’importatore è, comunque, tenuto al pagamento dei dazi doganali dovuti per l'importazione di una merce rispetto alla quale sia stato commesso un illecito doganale, anche se in buona fede.
Tuttavia, non potendosi applicare tale giurisprudenza al caso del fornitore con riguardo al pagamento dell'IVA sulle operazioni intracomunitarie viziate da frode commessa dall'acquirente - non essendo tenuto a tale pagamento il fornitore che abbia operato in buona fede e con ragionevole diligenza - e tenuto conto che lo stesso principio è da applicarsi anche riguardo al beneficio dell'esenzione all'importazione dei beni destinati ad una cessione intracomunitaria, la Corte conclude asserendo che:
“l’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), della direttiva IVA deve essere interpretato nel senso che, nel caso in cui il soggetto passivo importatore e fornitore abbia beneficiato di un’esenzione dall’IVA all’importazione sulla base di un’autorizzazione, rilasciata in seguito a un previo controllo da parte delle amministrazioni doganali competenti alla luce degli elementi di prova esibiti da tale soggetto, quest’ultimo non è tenuto a pagare l’IVA a posteriori qualora risulti, in occasione di un ulteriore controllo, che non ricorrevano le condizioni sostanziali dell’esenzione, a meno che non si accerti, in base ad elementi oggettivi, che tale soggetto passivo sapeva o doveva sapere che le cessioni successive alle importazioni di cui trattasi rientravano in una frode, commessa dall’acquirente, ed egli non ha adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere per evitare tale frode, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare”.
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