Concorrenza sleale lo storno di dipendenti altrui al fine di sottrarre il know-how
Pubblicato il 21 luglio 2022
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Storno dei dipendenti dell'impresa concorrente. Quando integra atto di concorrenza sleale? I chiarimenti della Corte di cassazione.
Lo storno dei dipendenti di impresa concorrente costituisce atto di concorrenza sleale laddove sia perseguito il risultato di crearsi un vantaggio competitivo a danno di quest'ultima, tramite una strategia diretta ad acquisire uno staff costituito da soggetti pratici del medesimo sistema di lavoro entro una zona determinata, "svuotando l'organizzazione concorrente di sue specifiche possibilità operative mediante sottrazione del modus operandi dei propri dipendenti, delle conoscenze burocratiche e di mercato da essi acquisite, nonché dell'immagine in sé di operatori di un certo settore".
E ancora: è atto di concorrenza sleale ai sensi dell'art. 2598, n. 3, cod. civ. l'assunzione di dipendenti altrui o la ricerca della loro collaborazione non tanto per la capacità dei medesimi, ma per utilizzazione, altrimenti impossibile o vietata, delle conoscenze tecniche usate presso altra impresa, compiuta con animus nocendi, vale a dire con un atto direttamente ed immediatamente rivolto ad impedire al concorrente di continuare a competere, in considerazione dell'esclusività di quelle nozioni tecniche e delle relative professionalità che le rendono praticabili, in modo tale da saltare il costo dell'investimento in ricerca ed in esperienza, da privare il concorrente della sua ricerca e della sua esperienza, e da alterare significativamente la correttezza della competizione.
Per la configurabilità di atti di concorrenza sleale contrari ai principi della correttezza professionale, commessi per mezzo dello storno di dipendenti e/o collaboratori, è necessario che l'attività distruttiva delle risorse di personale dell'imprenditore sia stata posta in essere dal concorrente con modalità tali da non potersi giustificare se non supponendo nell'autore l'intento di recare pregiudizio all'organizzazione ed alla struttura produttiva del concorrente, disgregando in modo traumatico l'efficienza dell'organizzazione aziendale del competitore e procurandosi un vantaggio competitivo indebito.
Sono i principi richiamati dalla Corte di cassazione nel testo dell'ordinanza n. 22625 del 19 luglio 2022, pronunciata nell'ambito di una vicenda in cui una società operante nell'ambito della formazione aveva adito un'impresa concorrente ed alcuni ex dipendenti e collaboratori, lamentando il compimento di condotte illecite e anticoncorrenziali.
Nel dettaglio, le condotte contestate erano di indebita sottrazione di propri dipendenti, imitazione pedissequa dei propri materiali informativi e pubblicitari, compimento di atti di concorrenza sleale e di utilizzazione di know - how e informazioni riservate, attività confusorie e di agganciamento, accompagnate dalla contraffazione di un proprio marchio registrato.
La ricorrente, nella specie, aveva dedotto di aver subito gravi danni conseguenti a tali attività, essendosi verificata una sensibile riduzione delle iscrizioni ai propri corsi di formazione in misura pari alla metà, con il conseguente diritto al risarcimento dei danni per lucro cessante, anche per la vanificazione dei propri investimenti pubblicitari, oltre che per il pregiudizio della propria immagine.
Nel caso concreto, tuttavia, la Corte d’appello aveva escluso che fosse stato posto in essere il denunciato storno, argomentando che non era corretto comprendere tra gli stornati i liberi professionisti che prestavano la loro collaborazione nei corsi, posizione che non impediva loro di svolgere analoghe attività per società operanti nel medesimo settore. Discorso, questo, applicabile anche ai consulenti legali, liberi professionisti, o ai consiglieri d’amministrazione.
Secondo la Corte territoriale, inoltre, l’illecito contestato era da escludere in quanto non si era verificato l’effetto di svuotamento e di pregiudizio per l’operatività della denunciante, difettando, altresì, la prova della consapevolezza del soggetto agente dell’idoneità dell’atto a danneggiare.
Questo, in quanto le conoscenze e la professionalità dei lavoratori trasmigrati, pur se di pregio, non presentavano carattere di esclusività tali da rendere detti dipendenti assolutamente essenziali e non vi era comunque prova della volontà di impedire alla concorrente di continuare a competere.
Senza contare che erano emerse prove della spontaneità del trasferimento dei dipendenti a causa della diffusa insoddisfazione diffusa in azienda e dalla mancanza di capacità individualizzanti nei dipendenti e collaboratori interessati.
Statuizione, questa, confermata dalla Suprema corte, secondo la quale l’esame complessivo dei vari elementi probatori acquisiti non poteva portare all’opposto convincimento della sussistenza degli illeciti per cui era causa.
Nella vicenda di specie, non potevano dunque accogliersi i motivi esposti dalla ricorrente, diretti al riesame dei fatti e a ribaltarne l’interpretazione in ordine alla configurabilità degli stessi quali illeciti concorrenziali prospettati.
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