Dimissioni per giusta causa tra NASpI e ticket licenziamento
Pubblicato il 05 giugno 2024
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L’articolo 2119 del codice civile prevede che il lavoratore possa recedere dal contratto di lavoro, prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto.
È il caso delle dimissioni per giusta causa.
Il legislatore non definisce le specifiche fattispecie di “giusta causa”, demandando pertanto alla giurisprudenza il compito di enuclearle.
Giusta causa di dimissioni: le fattispecie
L’INPS, nella circolare n. 163 del 20 ottobre 2003, ha elencato le fattispecie che la giurisprudenza ha qualificato come giusta causa di dimissioni, chiarendo che si considerano "per giusta causa" le dimissioni determinate:
- dal mancato pagamento della retribuzione;
- dall'aver subito molestie sessuali nei luoghi di lavoro;
- dalle modificazioni peggiorative delle mansioni lavorative;
- dal c.d. mobbing, ossia di crollo dell’equilibrio psico-fisico del lavoratore a causa di comportamenti vessatori da parte dei superiori gerarchici o dei colleghi (spesso, tra l’altro, tali comportamenti consistono in molestie sessuali o “demansionamento”, già previsti come giusta causa di dimissioni). Il mobbing è una figura ormai accettata dalla giurisprudenza (per tutte, Corte di Cassazione, sentenza n.143/2000);
- dalle notevoli variazioni delle condizioni di lavoro a seguito di cessione ad altre persone (fisiche o giuridiche) dell’azienda (anche Corte di Giustizia Europea, sentenza del 24 gennaio 2002);
- dallo spostamento del lavoratore da una sede ad un’altra, senza che sussistano le “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive” previste dall’art. 2103 codice civile (Corte di Cassazione, sentenza n. 1074/1999);
- dal comportamento ingiurioso posto in essere dal superiore gerarchico nei confronti del dipendente (Corte di Cassazione, sentenza n. 5977/1985).
Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (articolo 189, comma 5, di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14), ha successivamente introdotto una ulteriore ipotesi di giusta causa di dimissioni nei casi di cessazione del rapporto di lavoro subordinato a seguito di recesso del curatore o risoluzione di diritto del rapporto di lavoro subordinato nel corso della procedura di liquidazione giudiziale.
Dimissioni per giusta causa: diritti del lavoratore
Il lavoratore che rassegna le dimissioni per giusta causa ha diritto:
- alla corresponsione, a carico del datore di lavoro, dell'indennità sostitutiva del preavviso;
- a ottenere, su domanda da presentare all’INPS, l'indennità di disoccupazione NASpI, in presenza di tutti gli altri presupposti di legge.
La Cassazione (sentenza n. 13782 del 7 novembre 2001) ha escluso, in presenza di dimissioni per giusta causa, il diritto ad un risarcimento dei danni ulteriore rispetto all’indennità di preavviso ex art. 2119 c.c., in virtù del fatto che il contratto di lavoro è soggetto a disciplina speciale e derogatoria rispetto a quella prevista dall’art. 1453 c.c.
A diversa conclusione, la Suprema Corte giunge, con orientamento consolidato, per il risarcimento del danno non patrimoniale, dovuto a tutela dell'integrità psico-fisica del dipendente (art. 2087 c.c.) nei casi di intervenuto demansionamento con danno alla professionalità.
Dimissioni per giusta causa: obblighi del datore di lavoro
Nei casi di dimissioni per giusta causa del lavoratore il datore di lavoro è tenuto:
- a versare all’INPS il ticket licenziamento, pari al 41% del massimale mensile di disoccupazione NASpI per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni. Per il 2024 il contributo è pari a 635,67 euro (41% di 1.550,42 euro, il massimale mensile di disoccupazione 2024, messaggio INPS 7 febbraio 2024 n. 531). Il contributo non cambia a seconda che il lavoratore sia in part-time o in full-time;
- a corrispondere al lavoratore l'indennità sostitutiva del preavviso.
Quando è esclusa la giusta causa di dimissioni?
La giusta causa di dimissioni si configura in presenza di un comportamento datoriale che non consenta la prosecuzione neanche provvisoria del rapporto di lavoro e connesso a situazioni di oggettiva gravità.
Come evidenziato dalla Fondazione studi consulenti del lavoro (parere n. 5 del 15 febbraio 2010), la mancata corresponsione della retribuzione è giusta causa di dimissioni solo laddove “assuma di per sé, ove non del tutto accidentale, o di breve durata, una particolare gravità” e “configuri in concreto grave inadempimento del datore di lavoro” (Cass. civ., 11 ottobre 1988, n. 648; Cass. civ., 13 gennaio 1989, n. 133).
Evidenzia la Fondazione, che, per costituire giusta causa di dimissioni, la mancata corresponsione della retribuzione deve essere reiterata e non isolata (Cass. civ., 23 maggio 1998, n. 5146; Trib. Milano, 16 novembre 1994; Cass. civ., 8 novembre 1983, n. 6599; una giurisprudenza minoritaria ha affermato che è sufficiente la mancanza anche di una sola mensilità: Cass. civ., 15 maggio 1980, n. 3222, in Notiz. Giur. Lav., 1980, 609).
L’omissione può riguardare anche le mensilità supplementari, quali la 13° e la 14° mensilità e il versamento dei contributi previdenziali (Cass. civ., 8 novembre 1980, n. 5996).
Inoltre in base al cd. principio di immediatezza, il lavoratore deve dimettersi subito dopo la verificazione o la conoscenza del fatto, in quanto l’eventuale tolleranza spontanea dello stesso implica la possibilità di prosecuzione provvisoria del rapporto, escludendo per definizione la giusta causa (Cass. civ., 1° giugno 1994, n. 5298; Cass. civ., 5 maggio 1980, n. 2956)
La giusta causa di dimissioni è infatti esclusa nel caso di prosecuzione di fatto dell'attività lavorativa “nel caso in cui il lavoratore, manifestando la volontà di dimettersi, abbia consentito a continuare l'attività per tutto o per parte del periodo di preavviso. In tal caso, infatti, è lo stesso comportamento concludente del lavoratore ad escludere la ravvisabilità di circostanze tali da impedire la prosecuzione anche soltanto temporanea del rapporto (v. Cass. n. 24477 del 21/11/2011, Cass. n. 2492 del 21/03/1997, Cass. n. 2048 del 20/03/1985)”.
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