Dimissioni per fatti concludenti con giusta causa: ok alla NASpI

Pubblicato il



Ancora le dimissioni per fatti concludenti al centro di importanti chiarimenti Inps; la circolare n. 154 del 22 dicembre 2025 affronta infatti i riflessi che l’istituto introdotto dall’articolo 19 della legge 13 dicembre 2024, n. 203 comporta sul diritto all’indennità di disoccupazione NASpI.

L’ambito di applicazione della circolare riguarda dunque i rapporti di lavoro subordinato per i quali si verifichi un’assenza ingiustificata del lavoratore oltre i limiti temporali individuati dalla contrattazione collettiva nazionale applicata al rapporto o, in mancanza di una specifica previsione contrattuale, oltre il termine legale di quindici giorni.

La circolare Inps n. 154/2025 uniforma l’interpretazione e l’applicazione della nuova disciplina sul territorio nazionale, fornendo indicazioni operative coerenti con i chiarimenti già resi dal Ministero del lavoro con la circolare n. 6 del 27 marzo 2025.

Inquadramento normativo

Dal punto di vista sistematico, l’articolo 19 del Collegato Lavoro 2024 integra l’articolo 26 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151, norma che disciplina le modalità di dimissioni e risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro.

La modifica non incide sulla procedura telematica ordinaria prevista per le dimissioni volontarie, ma introduce una disciplina speciale per i casi di assenza ingiustificata prolungata, escludendo espressamente l’applicazione delle regole ordinarie di cui al medesimo articolo 26.

Elemento centrale della riforma è rappresentato dall’introduzione del comma 7 bis all’articolo 26 del decreto legislativo n. 151/2015, disposizione secondo cui, in caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine stabilito dal contratto collettivo nazionale o, in assenza di previsione contrattuale, oltre quindici giorni, il datore di lavoro può darne comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL).

A seguito di tale comunicazione, e salva la verifica da parte dell’INL, il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore, configurando una fattispecie assimilata alle dimissioni.

La norma prevede tuttavia una clausola di salvaguardia, stabilendo che la risoluzione non opera qualora il lavoratore dimostri l’impossibilità di comunicare i motivi dell’assenza per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro.

Questa impostazione normativa costituisce il presupposto fondamentale per le successive valutazioni dell’Inps in materia di accesso alla NASpI, come chiarito dalla circolare n. 154 del 22 dicembre 2025.

Dimissioni per fatti concludenti: nozione

La nozione di dimissioni per fatti concludenti consente di qualificare come risolto il rapporto di lavoro per volontà del lavoratore sulla base di comportamenti univoci e concludenti, senza la necessità di una manifestazione espressa di volontà mediante la procedura telematica ordinaria di dimissioni.

La disciplina è finalizzata a colmare un vuoto normativo esistente nei casi di abbandono del posto di lavoro, offrendo una cornice giuridica certa alle conseguenze previdenziali e contributive della cessazione del rapporto.

Assenza ingiustificata del lavoratore

Elemento costitutivo della fattispecie delle dimissioni per fatti concludenti è dunque l’assenza ingiustificata del lavoratore, intesa come mancata presentazione al lavoro non accompagnata da una valida motivazione e non comunicata secondo le modalità previste dal contratto o dalla prassi aziendale.

La circolare Inps chiarisce che l’assenza deve essere priva di giustificazione oggettiva, non potendo integrare la fattispecie in presenza di cause di forza maggiore, di impedimenti riconducibili al datore di lavoro o di altre circostanze che rendano impossibile la comunicazione tempestiva delle ragioni dell’assenza. In tale prospettiva, la condotta del lavoratore assume rilievo non come semplice inadempimento contrattuale, ma come comportamento idoneo a manifestare una presunta volontà dismissiva, che il legislatore consente al datore di lavoro di valorizzare ai fini della risoluzione del rapporto.

Termini temporali rilevanti: contratto collettivo e limite dei quindici giorni

Un ulteriore elemento essenziale è rappresentato dai termini temporali entro i quali l’assenza ingiustificata deve protrarsi affinché possa configurarsi la risoluzione per fatti concludenti: la normativa attribuisce un ruolo prioritario alla contrattazione collettiva, che può individuare un termine specifico di durata dell’assenza oltre il quale il comportamento del lavoratore assume rilevanza risolutiva.

In mancanza di una previsione contrattuale espressa, il legislatore stabilisce un limite legale di quindici giorni, decorso il quale l’assenza ingiustificata può legittimare l’avvio della procedura di cui all’articolo 19 della legge n. 203/2024.

NOTA BENE: la circolare Inps sottolinea che tali termini non determinano automaticamente la cessazione del rapporto, ma costituiscono il presupposto temporale minimo per l’eventuale esercizio della facoltà risolutiva da parte del datore di lavoro.

Natura facoltativa della procedura per il datore di lavoro

Uno degli aspetti centrali evidenziati dalla circolare Inps n. 154/2025 riguarda la natura facoltativa della procedura di risoluzione per dimissioni per fatti concludenti: il decorso del termine di assenza ingiustificata, anche quando supera i limiti previsti dal contratto collettivo o dalla legge, non produce infatti automaticamente l’estinzione del rapporto di lavoro. La risoluzione si verifica esclusivamente nel caso in cui il datore di lavoro decida di valorizzare il comportamento del lavoratore come manifestazione di volontà dismissiva.

Tale impostazione è coerente con i chiarimenti forniti dal Ministero del lavoro e ribaditi dall’Ispettorato nazionale del lavoro, secondo cui il datore di lavoro mantiene la possibilità di optare per strumenti alternativi, quali l’attivazione di un procedimento disciplinare ordinario.

L’esercizio della facoltà risolutiva è subordinato a un adempimento formale essenziale: la comunicazione alla sede territoriale dell’INL, passaggio imprescindibile affinché la risoluzione per fatti concludenti possa produrre effetti giuridici rilevanti anche ai fini previdenziali.

La comunicazione deve essere effettuata solo qualora il datore di lavoro intenda effettivamente far valere l’assenza ingiustificata ai fini della risoluzione del rapporto. Non sussiste, pertanto, un obbligo generalizzato di segnalazione in presenza di ogni assenza prolungata.

Il presupposto della comunicazione è la volontà datoriale di qualificare la cessazione come dimissioni per fatti concludenti, con conseguente utilizzo della specifica causale di cessazione “FC – dimissioni per fatti concludenti” nei flussi UniLav.

A seguito della comunicazione, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro può procedere a verifiche sulla veridicità dei fatti rappresentati, valutando la sussistenza dell’assenza ingiustificata e l’eventuale presenza di cause che escludano la riconducibilità della cessazione alla volontà del lavoratore. Le verifiche dell’INL assumono particolare rilievo anche in un’ottica di tutela del lavoratore, poiché consentono di evitare un utilizzo distorto della procedura in situazioni nelle quali l’assenza sia giustificabile o imputabile a comportamenti datoriali.

Rapporti con la disciplina disciplinare ordinaria

La circolare dedica ampio spazio ai rapporti tra la procedura di dimissioni per fatti concludenti e la disciplina disciplinare ordinaria, chiarendo che i due strumenti non sono sovrapponibili e rispondono a logiche differenti.

Licenziamento per giusta causa

In molti contratti collettivi, l’assenza ingiustificata protratta nel tempo è espressamente qualificata come infrazione disciplinare di particolare gravità, idonea a integrare una giusta causa di licenziamento. In tali ipotesi, il datore di lavoro può scegliere di procedere con il licenziamento disciplinare, anziché attivare la procedura di cui all’articolo 19 della legge n. 203/2024. La scelta della causale incide in modo diretto sul regime di tutela previdenziale del lavoratore, poiché il licenziamento per giusta causa, se correttamente irrogato, non preclude l’accesso alla NASpI.

Licenziamento per giustificato motivo soggettivo

Analoghe considerazioni valgono per il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, che può essere adottato in presenza di un inadempimento rilevante ma non tale da integrare una giusta causa. Anche in questo caso, l’assenza ingiustificata può costituire il presupposto del recesso, purché siano rispettate le garanzie procedurali previste dall’ordinamento.

Applicazione dell’articolo 7 della legge n. 300/1970

Qualora il datore di lavoro opti per la via disciplinare, trova applicazione l’articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori), che impone l’osservanza del principio del contraddittorio e delle garanzie difensive del lavoratore. La circolare Inps n. 154/2025 ribadisce che, in presenza di un licenziamento disciplinare formalmente corretto, la cessazione del rapporto non può essere riqualificata come dimissioni per fatti concludenti, con conseguente ammissibilità della prestazione di disoccupazione NASpI, ove ricorrano gli ulteriori requisiti di legge.

Dimissioni per fatti concludenti e indennità di disoccupazione NASpI

Ma veniamo al punto nodale della circolare n. 154/2025: Il rapporto tra dimissioni per fatti concludenti e indennità di disoccupazione NASpI. La qualificazione giuridica della cessazione del rapporto di lavoro incide infatti in modo diretto sulla possibilità, per il lavoratore, di accedere alla tutela previdenziale prevista in caso di perdita involontaria dell’occupazione.

L’Inps, recependo e sistematizzando i chiarimenti forniti dal Ministero del lavoro, definisce con precisione i casi di esclusione e le ipotesi residuali in cui la NASpI è riconoscibile.

Requisito dell’involontarietà della cessazione del rapporto di lavoro

Il requisito dell’involontarietà della cessazione del rapporto di lavoro rappresenta il presupposto fondamentale per il riconoscimento dell’indennità di disoccupazione NASpI. Tale principio, di natura strutturale, permea l’intera disciplina della prestazione ed è ribadito anche in relazione alla nuova fattispecie delle dimissioni per fatti concludenti.

Secondo l’impostazione dell’ordinamento previdenziale, la NASpI è infatti destinata a tutelare il lavoratore che perda l’occupazione per cause indipendenti dalla propria volontà, mentre resta esclusa nei casi in cui la cessazione sia imputabile a una scelta volontaria del lavoratore stesso.

Ebbene, la circolare Inps n. 154/2025 chiarisce che la risoluzione del rapporto di lavoro per dimissioni per fatti concludenti, pur avvenendo in assenza di una dichiarazione formale di dimissioni, è giuridicamente qualificata come cessazione per volontà del lavoratore. Tale qualificazione discende dalla valorizzazione normativa del comportamento concludente, rappresentato dall’assenza ingiustificata protratta oltre i termini previsti, quale manifestazione implicita di una volontà dismissiva.

Esclusione del diritto alla NASpI

In coerenza con il principio dell’involontarietà, la circolare stabilisce che la cessazione del rapporto di lavoro qualificata come dimissioni per fatti concludenti comporta l’esclusione del diritto alla NASpI.

L’Inps evidenzia che, in tali ipotesi, viene meno il presupposto essenziale richiesto dalla normativa di riferimento, ossia la perdita involontaria dell’occupazione. La circostanza che la risoluzione sia attivata dal datore di lavoro non muta la natura giuridica della cessazione, che resta imputabile alla condotta del lavoratore.

L’esclusione della NASpI in caso di dimissioni per fatti concludenti trova il proprio fondamento normativo nell’articolo 3 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22, che individua tra i requisiti per l’accesso alla prestazione lo stato di disoccupazione conseguente a cessazione involontaria del rapporto di lavoro.

La circolare Inps n. 154/2025 richiama espressamente tale disposizione, ribadendo che la fattispecie delle dimissioni per fatti concludenti non rientra tra le ipotesi tutelate dal legislatore, analogamente a quanto avviene per le dimissioni volontarie ordinarie.

Questo richiamo sistematico consente di collocare la nuova disciplina all’interno del quadro normativo già esistente, evitando interpretazioni estensive non coerenti con la ratio della prestazione di disoccupazione.

Ipotesi in cui la NASpI è ammessa

Accanto alla regola generale di esclusione, la circolare individua alcune ipotesi in cui la NASpI resta riconoscibile, pur in presenza di un’assenza ingiustificata del lavoratore; tali ipotesi non si collocano però nell’alveo delle dimissioni per fatti concludenti ma rientrano nella diversa fattispecie del licenziamento disciplinare.

La circolare chiarisce che, qualora il datore di lavoro scelga di non avvalersi della procedura di cui all’articolo 19 della legge n. 203/2024 e proceda invece al licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, la cessazione del rapporto assume natura involontaria ai fini previdenziali.

In tali casi, anche se il licenziamento trae origine da un’assenza ingiustificata protratta nel tempo, il rapporto di lavoro si estingue per iniziativa del datore di lavoro a seguito di un procedimento disciplinare, e non per una presunta volontà dismissiva del lavoratore.

La circolare Inps n. 154/2025 ribadisce che, in presenza di un licenziamento disciplinare correttamente intimato e comunicato con le causali ordinarie previste dai flussi UniLav, il lavoratore può accedere alla NASpI, a condizione che siano soddisfatti tutti gli altri requisiti previsti dalla legge.

Il riconoscimento della NASpI nei casi di licenziamento disciplinare resta comunque subordinato alla presenza dei requisiti contributivi e assicurativi previsti dal decreto legislativo n. 22/2015. In particolare, il lavoratore deve risultare in stato di disoccupazione, deve poter far valere un’anzianità assicurativa adeguata e deve aver maturato un numero minimo di settimane di contribuzione nei periodi di riferimento stabiliti dalla normativa vigente.

La circolare sottolinea che la valutazione dell’Inps non si limita alla sola causale di cessazione, ma si estende all’ordinaria verifica dei requisiti soggettivi e contributivi, secondo le regole generali applicabili a tutte le domande di NASpI.

Dimissioni per fatti concludenti e dimissioni per giusta causa

Il coordinamento tra la fattispecie delle dimissioni per fatti concludenti e le dimissioni per giusta causa assume un rilievo centrale nella disciplina delineata dall’articolo 19 della legge 13 dicembre 2024, n. 203 e nei chiarimenti forniti dalla circolare Inps n. 154 del 22 dicembre 2025.

La corretta qualificazione della cessazione del rapporto di lavoro incide infatti in modo determinante sia sul regime giuridico applicabile sia sull’accesso alle tutele previdenziali, in particolare all’indennità di disoccupazione NASpI. La circolare Inps affronta in modo puntuale il tema della possibile interferenza tra le due fattispecie, chiarendo i criteri di prevalenza e gli effetti operativi sulle procedure avviate dal datore di lavoro.

Prevalenza delle dimissioni rassegnate dal lavoratore

Un principio fondamentale ribadito dalla prassi amministrativa è la prevalenza delle dimissioni rassegnate dal lavoratore, anche quando il datore di lavoro abbia già avviato la procedura di risoluzione del rapporto per dimissioni per fatti concludenti.

Secondo quanto chiarito dal Ministero del lavoro, e recepito integralmente dall’Inps, la manifestazione di volontà espressa dal lavoratore mediante la procedura telematica di dimissioni prevale sulla presunzione di volontà dismissiva desunta dal comportamento concludente.

Tale principio risponde all’esigenza di attribuire rilievo prioritario alla volontà esplicita del lavoratore, rispetto a una volontà presunta che costituisce il presupposto della risoluzione per fatti concludenti. Ne consegue che, laddove il lavoratore formalizzi le proprie dimissioni, anche successivamente all’avvio della procedura datoriale, la cessazione del rapporto deve essere ricondotta alla fattispecie delle dimissioni volontarie, con le conseguenze giuridiche e previdenziali che ne derivano.

Effetti sulla procedura avviata dal datore di lavoro

La presentazione delle dimissioni da parte del lavoratore produce effetti diretti sulla procedura di risoluzione per fatti concludenti eventualmente avviata dal datore di lavoro.

La circolare Inps n. 154/2025 chiarisce che, in tali casi, la procedura datoriale diviene inefficace, in quanto viene meno il presupposto della presunta volontà dismissiva del lavoratore. Il sistema informatico del Ministero del lavoro, infatti, notifica al datore di lavoro l’avvenuta presentazione delle dimissioni, determinando la prevalenza di queste ultime sulla procedura di cessazione per fatti concludenti.

Dimissioni telematiche per giusta causa

Particolare attenzione è riservata poi alle dimissioni telematiche per giusta causa, ipotesi distinta e autonoma rispetto alle dimissioni volontarie ordinarie: la circolare chiarisce che, qualora il lavoratore rassegni dimissioni per giusta causa tramite la procedura telematica prevista dall’ordinamento, tali dimissioni prevalgono sulla procedura di risoluzione per fatti concludenti, anche se quest’ultima sia stata già attivata dal datore di lavoro.

Le dimissioni per giusta causa presuppongono infatti l’esistenza di un inadempimento grave del datore di lavoro, tale da non consentire la prosecuzione, neppure temporanea, del rapporto. In questi casi, la cessazione del rapporto è imputabile a una condotta datoriale e non alla volontà del lavoratore, con conseguenze rilevanti in termini di tutela previdenziale.

Sebbene le dimissioni per giusta causa prevalgano dunque sulla procedura per fatti concludenti, la circolare ribadisce che l’onere probatorio resta integralmente a carico del lavoratore.

Il lavoratore che intenda accedere alla NASpI deve quindi dimostrare l’effettiva sussistenza della giusta causa, fornendo elementi idonei a comprovare l’impossibilità di proseguire il rapporto di lavoro a causa di un comportamento del datore di lavoro contrario agli obblighi contrattuali o di legge. La semplice qualificazione formale delle dimissioni come “per giusta causa” non è sufficiente, in assenza di adeguata documentazione, a fondare il diritto alla prestazione di disoccupazione. L’Inps è infatti tenuto a verificare la fondatezza della causale addotta, secondo criteri di coerenza e attendibilità.

Causale UniLav “FC – dimissioni per fatti concludenti”

Un elemento determinante ai fini dell’istruttoria delle domande di NASpI è rappresentato dalla causale di cessazione indicata nei flussi UniLav. A decorrere dal 29 gennaio 2025, è stato introdotto il codice specifico “FC - dimissioni per fatti concludenti”, destinato a identificare in modo univoco questa particolare modalità di risoluzione del rapporto di lavoro.

La circolare precisa che, qualora la cessazione del rapporto sia comunicata utilizzando tale causale, l’accesso alla NASpI è precluso in via automatica, in quanto il sistema previdenziale riconduce la fattispecie a una cessazione volontaria.

Ne deriva l’importanza, sotto il profilo operativo, di una corretta qualificazione della causale di cessazione, poiché un’errata imputazione può incidere in modo significativo sui diritti previdenziali del lavoratore e sulla corretta gestione amministrativa della pratica.

In breve

Fattispecie di cessazione

Iniziativa della cessazione

Riferimento normativo/prassi

Causale UniLav

Accesso alla NASpI

Note operative rilevanti

Dimissioni per fatti concludenti

Presunta volontà del lavoratore, valorizzata dal datore di lavoro

Art. 19 legge n. 203/2024; circolare Inps n. 154/2025

FC – dimissioni per fatti concludenti

No

Richiede assenza ingiustificata oltre i termini; procedura facoltativa per il datore di lavoro

Dimissioni volontarie ordinarie

Volontà espressa del lavoratore

Art. 26 d.lgs. n. 151/2015

Dimissioni volontarie

No

Presentazione esclusivamente tramite procedura telematica

Dimissioni per giusta causa

Volontà del lavoratore determinata da grave inadempimento datoriale

Art. 2119 c.c.; circolare Inps n. 163/2003; circolare Inps n. 154/2025

Dimissioni per giusta causa

, se provata la giusta causa

Prevalgono sulla procedura per fatti concludenti; onere probatorio a carico del lavoratore

Licenziamento per giusta causa

Datore di lavoro

Art. 2119 c.c.; CCNL applicabile

Licenziamento

Necessario procedimento disciplinare ex art. 7 Statuto dei lavoratori

Licenziamento per giustificato motivo soggettivo

Datore di lavoro

Art. 3 legge n. 604/1966; CCNL

Licenziamento

Assenza ingiustificata può costituire presupposto del recesso

Allegati

Ricevi GRATIS la nostra newsletter

Ogni giorno sarai aggiornato con le notizie più importanti, documenti originali, anteprime e anticipazioni, informazioni sui contratti e scadenze.

Richiedila subito