Dichiarazione fraudolenta: altri documenti rilevanti se equiparabili alla fattura

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Dichiarazione fraudolenta: altri documenti rilevanti se equiparabili alla fattura

Gli altri documenti, diversi dalla fattura, per essere penalmente rilevanti devono essere tali da poter sostituire, integrare, od ampliare la funzione della fattura, pur sempre nel rispetto delle norme tributarie di riferimento.

Con sentenza n. 32088 del 25 luglio 2023, la Corte di cassazione ha fornito interessanti precisazioni in merito all'individuazione del significato da attribuire al concetto di "altri documenti" di cui all'art. 1, lettera a), D. Lgs. n. 74/2000.

Questo nell'ambito di un procedimento penale in cui l'imputato era accusato del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

Altri documenti rilevanti se equiparabili alla fattura

In merito al concetto richiamato, la Corte sottolinea come il legislatore abbia voluto espressamente circoscrivere i documenti penalmente rilevanti a quelli con efficacia probatoria equiparabile alle fatture in base alle norme tributarie.

In tal modo, non tutti i documenti fiscali rientrano nel novero di quelli che possono costituire l'oggetto materiale della condotta di frode fiscale, salvo, come detto, che essi siano equiparabili alle fatture per avere, sulla base di un'espressa previsione normativa, un rilievo probatorio analogo.

L'articolo richiamato, in altri termini, è una norma definitoria, diretta anche a circoscrivere i documenti "innominati" penalmente rilevanti ai fini della configurazione dei reati tributari, includendo una parte di essi (quelli cioè che hanno, sulla base di norme tributarie, rilievo probatorio analogo alla fattura) ed escludendo gli altri.

Da precisare, in tale contesto, che nel novero degli "altri documenti" vanno ricompresi non solo quelli cui la legge o un atto avente forza di legge attribuisce rilevanza probatoria analoga alla fattura ma anche quelli che siano indicati da una normativa fiscale di carattere secondario.

In definitiva - si legge nella decisione - l'art. 1, lettera a), richiamato richiede che una norma tributaria (primaria o secondaria) attribuisca al documento innominato lo stesso valore probatorio della fattura.

In assenza di un tale criterio di collegamento, necessario per porre la norma penale incriminatrice al riparo da rilievi di costituzionalità, non appare giuridicamente praticabile il ricorso a un criterio di equiparazione che, eludendo il criterio di collegamento normativo, faccia leva sul criterio esclusivamente funzionale.

Attestazione di un costo? Non basta per l'equiparazione

Nel caso esaminato, gli Ermellini hanno giudicato fondato il ricorso con cui l'imputato si era opposto alla condanna pronunciata dai giudici di merito, per quanto riguarda il rilievo relativo alla corretta qualificazione giuridica della locuzione "altri documenti" emessi a fronte di operazioni inesistenti.

Egli, in particolare, aveva dedotto la non sussumibilità dei documenti di cui all'imputazione (tra i quali alcune ricevute rilasciate per prestazioni occasionali inesistenti) nel dettato normativo richiamato, con conseguente insussistenza dell'elemento oggettivo del reato contestatogli.

Doglianza, questa, giudicata fondata dalla Cassazione, secondo la quale il fatto che un documento attesti con certezza un costo, e cioè un componente negativo del reddito, non vale, di per sé, ad attribuire a tale documento un rilievo probatorio analogo alla fattura in base alle norme tributarie.

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