Demansionamento: interesse alla condanna anche in caso di decesso del lavoratore
Pubblicato il 02 luglio 2024
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Con la sentenza 26 giugno 2024, n. 17586, la Corte di Cassazione ha ribadito il principio secondo cui, in tema di dequalificazione professionale, laddove il lavoratore abbia richiesto il mero accertamento della illegittima destinazione ad altre mansioni ed il consequenziale diritto ad essere ricollocato in quelle precedentemente svolte, sussiste l’interesse ad ottenere la pronuncia giudiziaria anche laddove la circostanza che nel corso del giudizio sia divenuta impossibile – nel caso di specie per decesso del lavoratore – non estinguendosi l’interesse di parte attrice all’accertamento del fatto controverso.
Interesse ad agire e domanda di accertamento
Il giudizio di legittimità è intervenuto a seguito del rigetto, nel corso di entrambi i giudizi di merito, delle doglianze accusate da parte attrice rispetto al presunto demansionamento posto in essere dal datore di lavoro. A seguito della sentenza degli Ermellini n. 20080/2018, la Corte d’Appello riassumeva il giudizio ed in considerazione della costituzione dell’unico erede del ricorrente dichiarava il sopravvenuto difetto di interesse ad agire in capo a quest’ultimo, fondando il proprio convincimento sull’assunto che la domanda di parte attrice era finalizzata esclusivamente all’accertamento della condotta datoriale ed alla ricollocazione, ormai impossibile, del lavoratore alle mansioni per le quali lo stesso era stato assunto, non potendosi, altresì, la stessa tramutare in una mera domanda di risarcimento per equivalente.
Demansionamento e l’interesse ad ottenere la pronuncia
Secondo le valutazioni dei Giudici di Piazza Cavour, ed in ossequio ai principi più volte affermati dalla medesima Corte, in tema di dequalificazione professionale, laddove il lavoratore richieda l’accertamento della illegittimità della destinazione ad altre mansioni, con il consequenziale diritto alla conservazione di quelle precedentemente svolte, sussiste l’interesse all’ottenimento della pronunzia anche dopo l’estinzione del rapporto di lavoro, incidendo tale ultimo evento esclusivamente sulla eventuale domanda di condanna alla reintegrazione nelle mansioni precedentemente svolte e non già sul diritto all’accertamento che tale obbligo sussisteva fino alla cessazione del rapporto di lavoro.
In particolare, la domanda di parte attrice, pur essendo specifica rispetto agli effetti desiderati e finalizzata alla condanna del convenuto ad un facere, può estinguersi con la mera circostanza che nel corso del giudizio l’esecuzione della prestazione sia divenuta impossibile, sicché non potrà determinare la cessazione della materia del contendere non estinguendosi, per l’appunto, l’interesse del ricorrente all’accertamento del fatto controverso.
Ciò appare, altresì, conforme rispetto al principio di economia processuale che, altrimenti, vedrebbe vanificata tutta l’attività giurisdizionale sviluppatasi fino al momento in cui si è verificata la circostanza che ha reso impossibile l’adempimento in forma specifica della prestazione di fare da parte dell’obbligato.
L’interesse rispetto alla domanda di accertamento dell’illegittimità del mutamento di mansioni può assumersi collegato alla futura pretesa risarcitoria, sicché è confermata la sussistenza dell’interesse ad agire.
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