Crisi aziendale e licenziamento collettivo: la procedura
Pubblicato il 07 agosto 2025
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I datori di lavoro con più di 15 dipendenti che intendono ridurre sensibilmente il personale dipendente in forza, a seguito di riduzione o trasformazione dell’attività lavorativa, devono seguire la procedura prevista dall’art. 24, legge 23 luglio 1991, n. 223.
In particolare, la previsione legale in argomento, avente il chiaro scopo di garantire un’adeguata informazione e partecipazione delle rappresentanze sindacali e degli organi amministrativi pubblici, è efficace nei confronti dei datori di lavoro con almeno 15 dipendenti che intendono effettuare almeno cinque licenziamenti nell’arco di 120 giorni in ciascuna unità produttiva o in più unità produttive situate nell’ambito del territorio di una stessa provincia.
La procedura da seguire, applicabile anche ai c.d. datori di lavoro non imprenditori, si sviluppa in due fasi principali: una sindacale e l’altra amministrativa. Vediamole in dettaglio.
Requisiti dimensionali
Come anticipato in premessa, ai sensi dell’art. 24, legge 23 luglio 1991, n. 223, affinché possa configurarsi il c.d. licenziamento collettivo, devono sussistere i requisiti dimensionali prescritti dalla normativa stessa, ovvero deve trattarsi di datori di lavoro che:
- abbiano alle proprie dipendenze più di quindici lavoratori;
- intendano effettuare, a seguito di una riduzione o trasformazione dell’attività lavorativa, almeno cinque licenziamenti nell’arco di 120 giorni, nell’unica unità produttiva dell’impresa ovvero in più unità produttive, laddove ubicate nell’ambito della stessa provincia.
Quanto al primo requisito, inerente al computo dei lavoratori in forza, si evidenzia che sarà necessario fare riferimento al criterio della “normale occupazione”, sicché la verifica della soglia dimensionale aziendale andrà effettuata non rispetto al numero dei dipendenti in forza al momento dell’apertura della procedura di licenziamento collettivo, bensì sull’occupazione media dell’ultimo semestre.
- ai sensi dell’art. 9, i lavoratori a tempo parziale dovranno essere considerati “pro-quota” in ragione dell’orario effettivamente svolto, arrotondando le frazioni di orario che eccedono la somma degli orari a tempo parziale con il corrispondente valore delle ore per il tempo pieno;
- ai sensi dell’art. 18, i lavoratori con contratto intermittente dovranno essere computati nell’organico dell’impresa in proporzione all’orario effettivamente svolto nell’arco di ciascun semestre;
- ai sensi dell’art. 27, si dovrà tener conto del numero medio mensile dei lavoratori a tempo determinato, compresi i dirigenti, impiegati negli ultimi due anni, sulla base dell’effettiva durata dei loro rapporti di lavoro.
Sono, invece, esclusi dal computo gli apprendisti (art. 47, comma 3) e i lavoratori in somministrazione (art. 34, comma 3).
Quanto al numero di licenziamenti, fermo l’ambito territoriale di riferimento, la Corte di Cassazione (ordinanza 20 luglio 2020, n. 15401) ha affermato che nel numero minimo di cinque licenziamenti rientrano anche eventuali risoluzioni consensuali, prepensionamenti o dimissioni che traggono origine dalle scelte (ri)organizzative del datore di lavoro.
Nel caso in cui il datore di lavoro occupi fino a quindici dipendenti (indipendentemente dal numero di licenziamenti), ovvero più di quindici dipendenti ma con un numero di licenziamenti inferiore a cinque, ovvero in un arco temporale più lungo, deve escludersi l’applicazione dello speciale regime di tutela in argomento: si tratterà, in tal caso, di c.d. licenziamenti individuali plurimi.
La procedura sindacale di licenziamento collettivo
La prima fase della procedura di licenziamento collettivo è rappresentata dall’obbligo datoriale di fornire apposita comunicazione preventiva alle rappresentanze sindacali aziendali (RSA) o unitarie (RSU) e alle rispettive associazioni di categoria. In mancanza di rappresentanze sindacali aziendali, la comunicazione deve essere effettuata alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale.
A prescindere dai destinatari, tale informativa deve contenere almeno tutti gli elementi previsti dall’art. 4, comma 3, e, dunque:
- i motivi che determinano la situazione di eccedenza;
- i motivi tecnici, organizzativi e produttivi, per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio alla predetta situazione, al fine di evitare, in tutto o in parte, il licenziamento collettivo;
- il numero, la collocazione aziendale e i profili professionali del personale eccedente, nonché del personale abitualmente impiegato;
- i tempi di attuazione del programma di riduzione del personale;
- le eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale dell’attuazione del programma medesimo.
La medesima comunicazione va, inoltre, contestualmente trasmessa all’ufficio amministrativo regionale ovvero al Ministero del Lavoro, se la procedura interessa unità produttive ubicate in più Regioni.
Si noti che potrà essere considerata in contrasto con gli obblighi di trasparenza la comunicazione preventiva/informativa che contenga dati del datore di lavoro incompleti o inesatti, tali da poter limitare la funzione sindacale ricercata dal Legislatore.
In ordine ai motivi tecnici, organizzativi o produttivi, per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee ad evitare, in tutto o in parte, il licenziamento collettivo, si specifica che il datore di lavoro deve illustrare le motivazioni per le quali risulta impossibile adottare ulteriori misure alternative, tra le quali rientrano, certamente, il ricorso alla CIGS, ai contratti di solidarietà o alla stipula di accordi a tempo parziale, ma anche distacchi, comandi e revisione delle mansioni ai sensi dell’art. 2103, Codice Civile.
Entro sette giorni dal ricevimento della comunicazione, le rappresentanze sindacali hanno la facoltà di avviare un esame congiunto avente lo scopo di esaminare le cause che hanno condotto a determinare l’eccedenza del personale e valutare la possibilità di utilizzazione diversa del personale dipendente nell’ambito della medesima impresa, ovvero avvalendosi di contratti di solidarietà o nuove forme di flessibilità nella gestione dei tempi di lavoro. Qualora non sia possibile evitare la riduzione di personale, dovrà, altresì, essere esaminata la possibilità di ricorrere a misure sociali di accompagnamento volte a facilitare la riqualificazione o la riconversione dei lavoratori licenziati (es. incentivi all’esodo, programmi di riqualificazione professionale o di outplacement, etc).
Ai sensi dell’art. 4, comma 6, la procedura sindacale deve concludersi entro il termine di 45 giorni dalla data di ricevimento della comunicazione dell’impresa (23 giorni nel caso in cui il licenziamento riguardi meno di dieci lavoratori).
Ad ogni modo, sia in caso di esito positivo (sottoscrizione dell’accordo) che negativo, il datore di lavoro dovrà comunicare il risultato della consultazione sindacale all’ufficio amministrativo competente, indicando e specificando le ragioni per le quali non è stata raggiunta l’intesa.
La procedura amministrativa di licenziamento collettivo
Il mancato raggiungimento dell’accordo in sede sindacale, ovvero il decorso infruttuoso del termine previsto dall’art. 4, comma 6, o il termine “ridotto” di cui al comma 8, impone all’impresa di rendere noti, all’ufficio competente, i motivi del mancato accordo.
In tale ipotesi, l’organo amministrativo, ricevuta la comunicazione del datore di lavoro, provvederà a convocare l’impresa e i sindacati al fine di espletare un ulteriore esame della questione, anche formulando eventuali proposte per la realizzazione di un’intesa.
Tale fase amministrativa deve concludersi, ai sensi dell’ultimo periodo del comma 7, art. 4, legge 23 luglio 1991, n. 223, entro il termine di trenta giorni, eventualmente ridotti a quindici nel caso in cui gli esuberi siano meno di dieci.
Trascorso detto termine, il datore di lavoro potrà legittimamente intimare il recesso ai lavoratori eccedentari, nel rispetto dei criteri di scelta comunque previsti dall’art. 5, legge 23 luglio 1991, n. 223 (carichi familiari, anzianità, esigenze tecnico, produttive e/o organizzative).
La fase conclusiva
Conclusa la consultazione sindacale e/o amministrativa, a prescindere dalla sottoscrizione di un’intesa, il datore di lavoro può procedere a notificare il recesso ai lavoratori in esubero.
Ai sensi dell’art. 9, comma 2, il datore di lavoro ha, altresì, l’obbligo di inviare, entro sette giorni dalla comunicazione dei recessi, l’elenco dei lavoratori licenziati, con l’indicazione, per ciascun soggetto, del nominativo, del luogo di residenza, della qualifica, del livello di inquadramento, dell’età, del carico di famiglia, nonché con puntuale indicazione con le quali sono stati applicati i criteri di scelta, alle organizzazioni sindacali e agli uffici pubblici che sono stati già destinatari della comunicazione di apertura del procedimento.
Ticket di accesso alla NASpI nei licenziamenti collettivi
Sebbene dal 1° gennaio 2017 non sia più dovuto il c.d. “contributo di ingresso”, che il datore di lavoro doveva versare all’Istituto previdenziale contestualmente all’avvio della procedura di licenziamento collettivo, qualche ultima battuta merita il ticket di licenziamento nell’ambito delle procedure previste dalla legge 23 luglio 1991, n. 223.
In particolare, si rammenta che:
- dal 1° gennaio 2017, i datori di lavoro che procedono a licenziamenti collettivi senza raggiungere l’accordo sindacale sono tenuti a versare un contributo di accesso alla NASpI pari al triplo del ticket ordinario (41% del massimale NASpI per ogni dodici mesi di anzianità negli ultimi tre anni);
- dal 1° gennaio 2018, il ticket di licenziamento va determinato nella misura dell’82% del massimale NASpI, qualora in capo al datore di lavoro vi sia l’obbligo di finanziamento della CIGS.
Conseguentemente, atteso che per l’anno 2025, il ticket di licenziamento “ordinario” è pari a 1.922,27 euro (53,40 euro per ogni mese di anzianità di servizio fino ad un massimo di trentasei mesi), nelle ipotesi di licenziamenti collettivi:
- se si raggiunge l’accordo sindacale, il ticket massimo per le imprese che finanziano la CIGS, è pari a 3.844,54 euro a dipendente (106,79 euro al mese per ogni mese di anzianità di servizio);
- se non si raggiunge l’accordo sindacale, il ticket massimo per le imprese che finanziano la CIGS, è pari a 11.533,61 euro a dipendente (320,38 euro al mese per ogni mese di anzianità di servizio).
Licenziamento collettivo – Infografica
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