Crediti d'imposta inesistenti: nuova definizione in continuità
Pubblicato il 20 gennaio 2025
In questo articolo:
Condividi l'articolo:
La nozione di credito inesistente è ancora ancorata all'insussistenza dei presupposti costitutivi.
Lo ha confermato la Corte di cassazione, Terza sezione penale, con sentenza n. 1757 del 15 gennaio 2025, nel pronunciarsi sul ricorso presentato da alcuni imputati contro una decisione della Corte d'Appello, confermativa della condanna emessa dal GUP nei loro confronti.
Indebita compensazione di crediti inesistenti
Il caso esaminato
Gli imputati erano stati ritenuti colpevoli del reato previsto dall'art. 10-quater, comma 2, del D.Lgs. 74/2000, relativo all'utilizzo di crediti inesistenti in compensazione fiscale. La pena, già ridotta in primo grado per effetto delle attenuanti generiche e della scelta del rito abbreviato, consisteva in otto mesi di reclusione con sospensione condizionale.
Il ricorso degli imputati
Nel ricorso per Cassazione, gli imputati hanno avanzato diversi motivi di contestazione.
Il primo riguardava la presunta mancanza dell'elemento soggettivo del reato. Essi sostenevano di essere stati meri prestanome, privi di consapevolezza riguardo alle attività illecite compiute dai veri gestori delle società. Secondo la difesa, gli imputati non avevano accesso a informazioni di gestione che potevano far sospettare l'esistenza di condotte fraudolente.
Il secondo motivo riguardava la qualificazione dei crediti utilizzati in compensazione. Gli imputati affermavano che tali crediti non fossero inesistenti, bensì semplicemente “non spettanti”, facendo riferimento a documenti, come buste paga e il bonus Renzi, a sostegno della loro posizione.
Infine, il terzo motivo si riferiva al diniego del beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale, giudicato non adeguatamente motivato dalla Corte d'Appello.
La decisione della Cassazione
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando integralmente le conclusioni dei giudici di merito.
Responsabilità degli imputati
In primo luogo, la responsabilità degli imputati è stata confermata sulla base del ruolo da loro ricoperto come amministratori, anche se solo formali, di società cooperativa prive di reale attività economica, definita "scatole vuote". Queste società non avevano scritture contabili né una sede operativa, risultando domiciliati presso studi professionali privi persino di una cassetta per la ricezione della posta.
La Corte ha ritenuto che, pur accettando di agire come prestanome, gli imputati avevano comunque l'obbligo di esercitare un controllo minimo sulla gestione, e che la loro condotta integrava il dolo eventuale. Tale conclusione si basava sulla consapevolezza del rischio e sull'accettazione delle conseguenze derivanti dalle operazioni illecite.
Crediti inesistenti
Per quanto riguarda i crediti opposti in compensazione, la Corte ha ribadito che essi dovevano considerarsi inesistenti, in quanto non fondati su presupposti giuridici o economici reali.
Tale inesistenza non risultava rilevabile attraverso i controlli automatizzati dell'anagrafe tributaria.
La Corte ha anche evidenziato come questa qualificazione fosse in linea con la giurisprudenza consolidata, che richiede che i crediti inesistenti siano privi di giustificazioni o ancorati a situazioni non reali.
Sul punto, la sentenza ha altresì chiarito che la qualificazione di un credito come inesistente non è influenzata dalla modifica normativa introdotta all'art. 1, comma 1, lett. g-quater del D. Lgs. 74/2000 dal D. Lgs. n. 87/2024: anche dopo tale modifica, il criterio guida rimane l'insussistenza dei presupposti costitutivi del credito.
Non menzione della condanna
In merito alla non menzione della condanna, la Corte ha confermato il diniego sulla base della gravità delle condotte contestate, che si caratterizzavano per l'ingente ammontare dei crediti inesistenti compensati, la pluralità degli episodi e la loro continuità nel tempo.
La motivazione della Corte d'Appello è stata ritenuta congrua e priva di vizi logici, in linea con l'orientamento giurisprudenziale secondo cui tale beneficio è rimesso alla discrezionalità del giudice di merito, tenendo conto degli elementi previsti dall'art. 133 cp.
Rigetto del ricorso
Concludendo, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, sottolineando che le censure avanzate dagli imputati si risolvevano in una richiesta di rivalutazione del compendio probatorio, senza evidenziare reali vizi logici o motivazionali nella sentenza impugnata.
Tabella di sintesi della decisione
Sintesi del caso | Gli imputati, formalmente amministratori di cooperative "scatole vuote", sono stati condannati per l’utilizzo di crediti inesistenti in compensazione fiscale ai sensi dell’art. 10-quater, comma 2, del D.Lgs. 74/2000. La Corte d'Appello aveva confermato la condanna di otto mesi di reclusione con sospensione condizionale della pena. |
Questione dibattuta | 1) Responsabilità degli imputati in qualità di amministratori formali e la loro consapevolezza delle condotte illecite. 2) Distinzione tra crediti inesistenti e non spettanti. 3) Diniego della non menzione della condanna. |
Soluzione della Corte di Cassazione | La Corte ha rigettato il ricorso confermando la condanna. Ha stabilito che gli imputati, pur agendo da prestanome, avevano accettato consapevolmente i rischi delle operazioni illecite. I crediti utilizzati erano inesistenti, in quanto privi di presupposti giuridici e non rilevabili attraverso controlli automatizzati. Il diniego della non menzione è stato giustificato dalla gravità delle condotte e dalla continuità delle violazioni. |
Ricevi GRATIS la nostra newsletter
Ogni giorno sarai aggiornato con le notizie più importanti, documenti originali, anteprime e anticipazioni, informazioni sui contratti e scadenze.
Richiedila subitoCondividi l'articolo: