Convivente superstite rimane in casa finché non trova una nuova sistemazione
Pubblicato il 03 maggio 2017
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La convivenza di fatto, come formazione sociale che dà vita ad un autentico consorzio familiare, determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente molto diverso da quello che deriva da ragioni di mera ospitalità.
Si tratta, come sottolineato dalla giurisprudenza di legittimità, di un potere di fatto che assume i connotati tipici di una detenzione qualificata, che ha titolo in un negozio tipico di natura familiare, con la conseguenza che l’eventuale estromissione violenta o clandestina dall’immobile, compiuta da terzi o anche dal convivente proprietario in danno del convivente non proprietario, legittima quest’ultimo alla tutela possessoria, consentendogli, eventualmente, di esperire l’azione di spoglio.
Detta detenzione qualificata del convivente non proprietario né possessore, tuttavia, è esercitabile ed opponibile ai terzi in quanto permanga il titolo da cui deriva ed, ossia, finché perduri la convivenza more uxorio.
La detenzione si estingue se viene meno la convivenza
Così, una volta venuto meno il titolo a causa della cessazione della convivenza o per decesso del convivente proprietario-possessore, si estingue anche il diritto avente ad oggetto la detenzione qualificata sull’unità abitativa e, in tale contesto, la protrazione della relazione di fatto tra il bene ed il convivente superstite, potrà ritenersi legittima solo in base alla eventuale istituzione del medesimo come coerede o legatario dell’immobile in virtù di disposizioni testamentarie o in base alla costituzione di un nuovo e diverso titolo di detenzione da parte degli eredi del convivente proprietario.
E’ quanto sottolineato dalla Corte di cassazione nel testo della sentenza n. 10377 del 27 aprile 2017 e con la quale è stata confermata la statuizione di condanna di una donna, che aveva convissuto per ben 47 anni con il compagno che era poi deceduto, al rilascio dell’immobile detenuto “sine titulo”, divenuto di proprietà, in virtù della successione legittima, del figlio e della moglie separata del convivente, originariamente proprietario del bene, venuto meno.
Nella specie, la Suprema corte ha sottolineato che la rilevanza sociale e giuridica rivestita dalla convivenza more uxorio non incidesse, salvo espressa disposizione di legge, sul legittimo esercizio dei diritti spettanti ai terzi sul bene immobile.
Non applicabile, ratione temporis, il diritto di abitazione fino a 5 anni ex Legge n. 76/2016
Non trovava, inoltre, applicazione alla fattispecie in esame, in quanto non in vigore all’epoca dei fatti (2007), la norma di cui all’articolo 1, comma 42 della Legge n. 76/2016 che conferisce al convivente superstite un diritto di abitazione temporaneo (non oltre i 5 anni), modulato diversamente in relazione alla durata della convivenza ed alla presenza di figli minori o disabili.
Per la Corte, nella specie, era da fare riferimento, piuttosto, al canone di buona fede e di correttezza che impone al soggetto che legittimamente intenda rientrare, in base al suo diritto, nella esclusiva disponibilità del bene, di concedere all’ex convivente del de cuius un termine congruo per la ricerca di una nuova sistemazione abitativa.
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