Confisca allargata, indicazioni dalla Cassazione

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Confisca allargata, indicazioni dalla Cassazione

La Corte di cassazione ha fornito alcune precisazioni in tema di “confisca allargata”, la misura, ossia, disciplinata dall’articolo 12 sexies del Decreto legge n. 306/1992 nei casi di condanna o di applicazione della pena ex articolo 444 C.p.p. per il delitto previsto dall’articolo 416 bis c.p. (associazione di tipo mafioso) e per altri gravi reati.

Con essa vengono confiscati i beni o le altre utilità di cui il condannato non possa giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica.

Nella sentenza n. 53625 del 27 novembre 2017, in particolare, vengono richiamati alcuni principi di diritto in ordine alle distinte tipologie di confisca e ai relativi provvedimenti giurisdizionali di segno diverso per il medesimo proposto nonché alle modalità di accertamento del requisito della sproporzione reddituale al momento dell’acquisizione dei beni da sottoporre a confisca.

Confronto con confisca di prevenzione

In primo luogo, la confisca allargata – ha evidenziato la Corte richiamando precedenti pronunce di legittimità – presenta presupposti applicativi in parte coincidenti con la confisca di prevenzione, in quanto in entrambe è previsto che i beni da acquisire si trovino nella disponibilità diretta o indiretta dell’interessato e che presentino un valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato dal medesimo o all’attività da lui esercitata. Tuttavia, solo per la confisca di prevenzione è possibile sottrarre al proposto i beni che siano frutto di attività illecita ovvero ne costituiscano il reimpiego.

Per entrambe le misure occorre la prova della disponibilità anche indiretta del bene in capo all’indagato/imputato/condannato e, nel caso in cui il bene che si assume illegittimamente acquisito risulti intestato a terzi o ai congiunti del condannato, occorre dimostrare l’esistenza di situazioni che avallino concretamente l’ipotesi di una discrasia tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene.

L’organo giudicante, in dette ipotesi, è obbligato a spiegare le ragioni della ritenuta interposizione fittizia, attraverso il riferimento non solo a circostanze sintomatiche di spessore indiziario, ma anche ad elementi fattuali caratterizzati da gravità, precisione e concordanza che possano costituire prova indiretta circa il superamento della coincidenza fra titolarità apparente e disponibilità effettiva del bene.

Prova per evitare il provvedimento ablatorio: non è necessaria una giustificazione qualificata

Rispetto, poi, alla prova liberatoria della lecita provenienza dei beni, la Suprema corte ha richiamato l’interpretazione ormai in via di consolidamento secondo la quale non è richiesta una giustificazione qualificata della legittima provenienza dei beni, bensì un’attendibile e circostanziata giustificazione che il giudice deve valutare nel concreto, secondo il principio della libertà di prova e del libero convincimento.

Sulla scorta di questi principi la Prima sezione penale di Cassazione ha annullato, con rinvio, un’ordinanza con cui era stata disposta, a carico di un uomo, condannato per usura, la confisca allargata di beni mobili e immobili riferibili alcuni direttamente allo stesso, altri ai suoi stretti congiunti, ritenuti intestatari formali dei medesimi.

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