Chiamate per figli Niente molestie
Pubblicato il 29 giugno 2016
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Non commette molestia la ex moglie che continuamente ed a tutte le ore chiama o contatta il marito tramite messaggi, se per parlare dei figli o per sollecitarlo a rispettare gli obblighi economici di mantenimento.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione, prima sezione penale, accogliendo il ricorso di una donna, condannata ex art. 660 c.p. perché, mediante telefonate o sms continui, anche notturni, recava molestie al coniuge separato.
Connotati molestia Petulanza per biasimevole motivo
La Cassazione ha dunque colto l’occasione per una disamina sul reato di molestie, chiarendo come, ai fini dello stesso, sia necessario un comportamento connotato da petulanza, ossia da quel modo di agire pressante, ripetitivo, insistente ed indiscreto, che finisce per interferire sgradevolmente nella sfera della quiete e della libertà delle persone per “biasimevole motivo” o per qualsiasi altra motivazione che sia da considerarsi riprovevole.
Ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato in questione, inoltre, è sufficiente la coscienza e volontà della condotta che sia oggettivamente idonea a molestare e disturbare terze persone. Sicché l’elemento patologico ex art. 660 c.p. sussiste anche quando l’agente esercita (o ritiene di esercitare) un suo diritto, qualora il suo comportamento nei confronti del soggetto passivo si estrinsechi in forme tali da arrecargli molestia o disturbo, con specifico intento di ottenere, eventualmente per vie diverse da quelle legali, il soddisfacimento delle proprie pretese.
Motivi non futili Non è molestia
Ma nella specie – precisa la Suprema Corte – la pronuncia impugnata risulta tuttavia scarsamente motivata, laddove i giudici affermano la responsabilità penale dell’imputata, pur ammettendo che la stessa ricercasse il costante contatto con il marito per parlare dei figli o per ragioni economiche connesse al mancato pagamento della somma di mantenimento pattuita in sede di separazione. Trattasi dunque di motivi non futili ma di rilevante interesse per i figli.
Sicché pare illogico – puntualizzano gli ermellini - definire le presenti telefonate o messaggi come fonte di disturbo, come se fosse giustificabile il comportamento del genitore che, per sottrarsi agli obblighi economici e di assistenza a suo carico, rifiuti ogni colloquio con il coniuge separato.
Oltretutto – conclude la Corte con sentenza 26776 del 28 giugno 2016 – nel comportamento della ricorrente non pare evidenziabile alcun fine di petulanza, né biasimevole motivo.
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