Benefici anche per i superstiti delle vittime di terrorismo o criminalità

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Benefici anche per i superstiti delle vittime di terrorismo o criminalità

Con la sentenza n. 122/2024 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 2-quinques, comma 1, lett. a), decreto legge 2 ottobre 2008, n. 151, limitatamente alle parole “parente o affine entro il quarto grado”. Ne consegue che i benefici previsti per i superstiti delle vittime del terrorismo o della criminalità organizzata non possono essere negati in ogni caso ai parenti e agli affini entro il quarto grado di persone sottoposte a misure di prevenzione o indagate per alcune tipologie di reato.

Stando alle disposizioni dell’art. 2-quinques, infatti, i predetti benefici erano concessi ai superstiti a condizione che il beneficiario non risulti coniuge, convivente, parente o affine entro il quarto grado di soggetti nei cui confronti risulti in corso un procedimento per l’applicazione o sia applicata una misura di prevenzione di cui alla legge 31 maggio 1965, n. 575, ovvero di soggetti nei cui confronti risulti in corso un procedimento penale per uno dei delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, Cod. Proc. Penale.

Su rinvio della Corte d’Appello di Napoli, che aveva ritenuto irragionevole e lesiva la condizione ostativa assoluta, con riguardo ai parenti ed affini fino al quarto grado, la Corte Costituzionale ha osservato che la rigidità della disciplina in argomento travalica la finalità di procedere ad una verifica rigorosa circa l’estraneità dei beneficiari al contesto criminale.

Sul punto la distanza di grado parentale o affine appare irragionevole in quanto pregiudica proprio coloro che si siano dissociati dal contesto familiare, avendo ricadute, la norma, stigmatizzando – di fatto – l’appartenenza ad un determinato nucleo familiare anche quando non se ne condividano valori e stili di vita.

La disposizione, stando alle risultanze delle Corte, si pone dunque in contrasto con i principi di eguaglianza, ragionevolezza e parità di trattamento, nonché incoerente con la ratio ispiratrice della disciplina di favore prevista dalla legge. Sebbene, infatti, la norma si prefigga di evitare che le limitate risorse dello Stato siano sviate a sostegno delle vittime della mafia e del terrorismo e avvantaggino, per via indiretta, le stesse associazioni criminali che si intende contrastare – mediante una riconduzione a circuiti familiari – la finalità risulta perseguita con mezzi spropositati, non potendosi ricondurre l’estraneità del soggetto nella mera condizione di incensurato o, in negativo, nella mancanza di affiliazione alle consorterie criminali, necessitando, invece, la prova di una condotta antitetica al codice di comportamento delle organizzazioni malavitose.

Su chi rivendica elargizioni o assegni vitalizi grava, in tal senso, l’onere di dimostrare in modo persuasivo l’estraneità che assurge a elemento costitutivo del diritto.

Quanto al vincolo familiare, non è altresì infrequente che taluni familiari si dissocino dal contesto organizzativo di riferimento, pregiudicando – ipso facto – la norma, la possibilità di dimostrare al soggetto interessato, con tutte le garanzie del giusto processo, di meritare appieno i benefici che lo Stato accorda.

Nel giudizio di merito, infatti, dovrà essere accertata l’estraneità e il recesso con legami della famiglia di appartenenza, a prescindere dai vincoli di parentela o affinità, dovendo il giudice accertare una condotta incompatibile con logiche e gerarchie di valori tipiche del mondo criminale.

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