Bancarotta impropria e indebita compensazione: sì al concorso di reati
Pubblicato il 19 febbraio 2021
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La Corte di cassazione, con sentenza n. 6350 del 18 febbraio 2021, ha ammesso la configurabilità del concorso tra il reato di bancarotta impropria da operazioni dolose e il delitto di indebita compensazione di crediti d’imposta ex art. 10-quater D.Lgs. n. 74/2000.
Ha infatti riconosciuto che non sussiste, tra le due fattispecie, un rapporto strutturale di specialità unilaterale ai sensi dell’art. 15 Codice penale.
Gli Ermellini si sono pronunciati rispetto ad una vicenda giudiziaria che aveva visto condannare, in sede di merito, l’amministratore di una Spa fallita e, in concorso, il professionista incaricato di occuparsi delle transazioni fiscali della società, in considerazione di una serie di condotte collegate tra loro e tutte relative al fallimento della società.
Contro questa condanna, i due imputati avevano promosso ricorso davanti alla Suprema corte, lamentando, tra gli altri motivi, la violazione del principio del “ne bis in idem” per le condotte relative alla bancarotta societaria impropria con operazione dolose e l’indebita compensazione.
Cassazione: nessuna violazione del ne bis in idem
Doglianza giudicata infondata dalla Quinta sezione penale della Cassazione, secondo la quale le censure difensive erano fondate sull’errato presupposto per cui la giurisprudenza di legittimità sarebbe propensa, ai fini dell’applicazione della disciplina del concorso apparente tra norme, ad attribuire rilevanza anche all’ipotesi in cui le relative fattispecie si pongano in rapporto di specialità reciproca.
Per contro – ricorda la Corte – l’orientamento consolidato della Cassazione è di segno opposto, stabilendo che la fattispecie speciale debba poter essere ricompresa interamente in quella ritenuta generale ad avere in sé elementi di specialità, secondo la figura dell’essere “l’una il cerchio concentrico dell’altra”.
Nella vicenda in esame, vi era diversità strutturale tra le due fattispecie in concorso: i reati si differenziavano sia per la condotta, sia per l’esistenza necessaria della sentenza dichiarativa di fallimento nella struttura di punibilità.
In particolare, il reato fallimentare della bancarotta non considerava le violazioni tributarie commesse in quanto tali bensì in relazione al fatto che, attraverso queste, gli imputati avevano potuto continuare l’attività imprenditoriale, contribuendo ad aggravare il dissesto della società ovvero creare quel dissesto fino alla sentenza dichiarativa di fallimento.
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