Azione di responsabilità amministratori, quantificazione del danno

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Azione di responsabilità amministratori, quantificazione del danno

E’ stata confermata, dalla Cassazione, una decisione di secondo grado emanata in accoglimento della domanda di risarcimento avanzata dal fallimento di una Srl nei confronti degli amministratori, anche di fatto, della società.

Questi si erano rivolti alla Suprema corte, lamentando, tra gli altri motivi, la violazione degli artt. 1223, 1226 e 2043 c.c.

A loro dire, il curatore era tenuto a provare la riconducibilità del danno agli atti dolosi o colposi loro ascritti, in quanto ai medesimi poteva essere addebitato il risarcimento del solo danno che si fosse prodotto quale conseguenza immediata e diretta delle violazioni commesse, per la misura equivalente al detrimento patrimoniale che non si sarebbe verificato in assenza della condotta illecita posta in atto.

Il fatto che le scritture contabili della società fossero assenti, inoltre, non avrebbe giustificato l’applicazione di criteri presuntivi, visto che altrimenti si sarebbe attribuito al risarcimento una funzione sanzionatoria ad esso estranea.

Secondo la loro difesa, l’eventuale criterio sussidiario di valutazione equitativa del danno sarebbe stato utilizzabile solo in presenza di una impossibilità probatoria o in costanza di una rilevante difficoltà nella liquidazione del pregiudizio stesso.

Danno a carico degli amministratori, quantificazione

Doglianza ritenuta infondata dagli Ermellini, i quali hanno giudicato che la decisione impugnata fosse conforme al diritto.

La Corte territoriale – si legge nella decisione - era pervenuta all'accertamento del danno, osservando che attraverso la cooperazione dolosa o, comunque, gravemente colposa dei ricorrenti si era verificato il progressivo depauperamento del patrimonio della società fallita e la dispersione di beni e crediti. Era, inoltre, risultata totalmente sconosciuta la destinazione di diverse poste iscritte in bilancio e non rinvenute dal curatore fallimentare.

Se ne poteva presumere che i crediti riportati nel bilancio fossero stati incassati, trattandosi di crediti di sicuro realizzo verso enti notoriamente solvibili e che non era possibile ritenere che essi fossero stati riscossi e destinati ad attrezzature necessarie per lo svolgimento dell'attività, posto che non erano state rinvenute immobilizzazioni materiali di sorta.

Era in definitiva corretto che il danno fosse stato quantificato avendo riguardo all'accertata colpevole dispersione di elementi dell'attivo patrimoniale da parte degli amministratori, oltre che al colpevole protrarsi di un’attività produttiva implicante l'assunzione di maggiori debiti della società.

A nulla rilevava, in detto contesto, che l'importo oggetto di liquidazione sulla base di tali criteri fosse ridotto a una minor somma, nella specie corrispondente alla differenza tra il passivo e l'attivo fallimentare, in ragione del limite quantitativo della pretesa fatta valere.

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