Autoriciclaggio da sentenza estera ante riforma

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Autoriciclaggio da sentenza estera ante riforma

Riconoscimento condanna straniera

Per il riconoscimento della sentenza straniera di condanna, anche ai fini dell’applicazione delle pene accessorie, è condizione necessaria che il fatto per il quale l’imputato è stato punito all’estero costituisca reato secondo la legge italiana del tempo in cui fu commesso.

In detto contesto, la natura sanzionatoria “penale” delle conseguenze correlate alla condanna straniera implica che la condizione ostativa al suddetto riconoscimento di cui all’articolo 733, comma 1, lettera e) del Codice di procedura penale – “per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona è in corso nello Stato procedimento penale” – vada coniugata con la previsione contenuta nell’articolo 2, primo comma del Codice penale sulla successione delle leggi penali.

Verifica al momento commissione fatti, rilievo giurisprudenza precedente

Così, qualora dall’esame della sentenza straniera oggetto di riconoscimento, risulti dal capo di imputazione che il soggetto sia stato condannato anche per il riciclaggio di valori di pertinenza di un terzo di provenienza dai traffici di stupefacenti nei quali è stata accertata la sua partecipazione a titolo di concorso, occorre che il giudice di merito verifichi se i fatti addebitati costituissero reato secondo la legge italiana al momento della loro commissione.

E questo, tenuto anche conto dei principi espressi in tema di auto-riciclaggio e reimpiego dalle Sezioni unite di Cassazione (sentenza n. 21191/2014) prima della novella di cui alla Legge n. 186/2014, introduttiva del reato di autoriciclaggio.

Ai sensi della giurisprudenza citata, in particolare, l’assenza, nell’articolo 12 quinques del Decreto legge n. 306/92, di una clausola di esclusione della responsabilità per l’autore dei reati che hanno determinato la produzione di illeciti proventi consente di affermare che il soggetto attivo del reato può essere anche colui che ha commesso o ha concorso a realizzare il delitto presupposto, qualora il medesimo abbia predisposto una situazione di apparenza giuridica e formale difforme dalla realtà circa la titolarità o disponibilità dei beni di provenienza delittuosa al fine di agevolare la commissione dei delitti di riciclaggio o di reimpiego.

E’ quanto evidenziato dai giudici di Cassazione, Sesta sezione penale, nel testo della sentenza n. 21348 del 23 maggio 2016.

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