Accollo del debito e compensazione con crediti fittizi, si rischia la condanna penale
Pubblicato il 15 dicembre 2017
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La Corte di Cassazione – sentenza n. 55794 del 14 dicembre 2017 – respingendo il ricorso presentato da una consulente fiscale, condanna la sua condotta come elusiva per aver utilizzato crediti inesistenti per pagare debiti tributari di terzi acquisiti mediante accollo. Secondo la Corte, la condotta della consulente, oltre ad integrare un'elusione fiscale, assume rilevanza anche ai fini penali, essendo ritenuta fraudolenta e simulatoria. Il reato ipotizzato è quello della indebita compensazione.
Il fatto
Alcuni contribuenti trasferivano alla consulente, mediante accollo, i propri debiti fiscali che venivano compensati con crediti inesistenti.
Nello specifico, la consulente aveva ideato un particolare meccanismo in base al quale, dopo l'accollo dei debiti dei clienti, tramite la commercializzazione di “modelli di evasione fiscale”, tali debiti fiscali venivano compensati con crediti inesistenti.
Solo apparentemente, infatti, la consulente provvedeva alla regolarizzazione della posizione fiscale dei clienti, esponendo i loro debiti in dichiarazione e chiedendone la compensazione usando crediti fittizi.
Configurabile il reato penale
Per la Suprema Corte di Cassazione, a nulla è valsa la difesa della consulente che reclamava la depenalizzazione dell'elusione fiscale e il fatto che il reato di indebita compensazione dev'essere commesso direttamente dal contribuente debitore.
La condotta messa in atto per la creazione di crediti inesistenti e il loro utilizzo in compensazione ha cagionato un danno all’Erario, tale che la consulente deve essere riconosciuta come autrice diretta del reato.
La sentenza n. 55794/2017 sottolinea, infatti, che la configurabilità del reato non è esclusa dal fatto che i debiti siano di terzi.
La Corte ribadisce come il Dlgs 74/2000 sanzioni “chiunque” utilizzi in compensazione crediti e debiti non spettanti o inesistenti.
A ciò si deve aggiungere, poi, come la condotta simulatoria e fraudolenta, oltre che essere ricondotta ad operazioni elusive, doveva necessariamente richiamare anche conseguenze penali.
La Corte ribadisce come – in ambito tributario - la compensazione può avere luogo solo se ammessa espressamente dalla legge e tale principio non è superato dalla previsione generale dello Statuto del contribuente che, comunque, ha lasciato ferma, in via transitoria, le disposizioni vigenti, demandando ad appositi regolamenti l'estensione di tale istituto ai tributi per i quali non era contemplato.
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