Uso promiscuo c/c Notaio condannato

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Uso promiscuo c/c Notaio condannato

La Corte di Cassazione ha confermato la sanzione disciplinare della sospensione dalla professione inflitta ad un notaio ritenuto responsabile – in violazione dell’art. 147 Legge notarile ed art. 22 codice deontologico notai – di diverse condotte, tra cui, l’aver omesso molti versamenti fiscali e contributivi ed aver promiscuamente utilizzato conti correnti bancari per ragioni personali e professionali.

Lesione al decoro secondo valutazione di merito

Il notaio incolpato ricorreva avverso la propria condanna, eccependo, tra l’altro, la pretesa irrilevanza disciplinare dell’utilizzo promiscuo dei conti bancari, per esigenze sia personali che professionali.

A tal proposito è sufficiente rilevare – chiarisce la seconda sezione civile– che la qualificazione di tale condotta come lesiva del decoro della professione notarile (tutelato dall’art. 147 Legge notarile) per le concrete modalità del suo svolgimento e per il contesto in cui la stessa si inserisce, rientra tra i compiti istituzionali del giudice di merito e non è sindacabile dalla Corte di Cassazione. Il controllo di legittimità cui quest’ultima è deputata, difatti, sull’applicazione da parte del giudice di merito di concetti giuridici indeterminati e clausole generali, può solo mirare a verificare la ragionevolezza della sussunzione in essi del fatto concreto.

“Non occasionalità” da non confondere con recidiva

Il ricorrente censurava altresì la mancanza di precedenti disciplinari, a suo dire incompatibile con il requisito della “non occasionalità” di cui al contestato art. 147 l. n.

La Cassazione ha giudicato parimenti errata detta censura, laddove si confonde la nozione di “non occasionalità” con quella di recidiva. La non occasionale violazione di norme deontologiche si ha infatti quando una violazione venga ripetuta più volte, cosicché la stessa non possa essere ascritta a ragioni contingenti e momentanee ma dimostri un atteggiamento indifferente al rispetto dei doveri deontologici.

E ciò – conclude la Corte con sentenza n. 14130 dell’11 luglio 2016 – non presenta alcun collegamento con l’evenienza che l’incolpato abbia o meno riportato precedenti condanne disciplinari per la stessa o per altre violazioni dei doveri deontologici.

 

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