Uso illegittimo del sistema informatico aziendale? Licenziato

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Uso illegittimo del sistema informatico aziendale? Licenziato

Legittimo il licenziamento per giusta causa irrogato al dipendente che abbia illegittimamente utilizzato il sistema informatico della società per scopi privati, ossia al fine di localizzare un soggetto terzo.

Con ordinanza n. 28387 dell'11 ottobre 2023, la Corte di cassazione ha respinto il ricorso con cui il dipendente di una Spa si era opposto alla decisione di merito confermativa del suo licenziamento disciplinare.

Al lavoratore, nel dettaglio, era stato contestato di aver illegittimamente utilizzato il sistema informatico della società per localizzare l'ex convivente di un amico, con violazione dei principi ispiratori del codice etico in vigore in azienda, nonché aperta violazione degli obblighi e dei doveri gravanti ai sensi e per gli effetti degli artt. 2104 e 2105 c.c., come richiamati dal CCNL applicabile.

I fatti erano stati accertati anche grazie alle intercettazioni effettuate in ambito penale, per come depositate in atti ed acquisite dall'autorità giudiziaria.

Il dipendente aveva impugnato la decisione di secondo grado davanti alla Suprema corte asserendo, tra i motivi, il contrasto con i consolidati principi giurisprudenziali in tema di valenza probatoria, nel giudizio civile, delle intercettazioni svolte in sede penale. 

Secondo la sua difesa, inoltre, vi era un'assoluta sproporzione tra i fatti contestati e la misura adottata.

I giudici di Piazza Cavour hanno giudicato infondate entrambe le doglianze.

Intercettazioni svolte in ambito penale: utilizzabili nel procedimento disciplinare

In primo luogo, hanno richiamato il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità secondo cui, nell'accertamento della sussistenza di determinati fatti e della loro idoneità a costituire giusta causa di licenziamento, il giudice del lavoro può fondare il suo convincimento sugli atti assunti nel corso delle indagini preliminari, anche se sia mancato il vaglio critico del dibattimento.

Questo perché la parte può sempre contestare, nell'ambito del giudizio civile, i fatti acquisiti in sede penale.

E con particolare riferimento alle intercettazioni effettuate nel contesto penale, è stato affermato che esse sono pienamente utilizzabili nel procedimento disciplinare, "purché siano state legittimamente disposte nel rispetto delle norme costituzionali e procedimentali, non ostandovi i limiti previsti dall'art. 270 c.p.p., riferibili al solo procedimento penale, in cui si giustificano limitazioni più stringenti in ordine all'acquisizione della prova, in deroga al principio fondamentale della ricerca della verità materiale".

Nella specie, quindi, era legittimo che la Corte territoriale avesse formato il suo convincimento anche in base alle risultanze delle intercettazioni telefoniche, essendo incontestata la condotta consistente nell'utilizzo del sistema informatico aziendale per scopi privati.

La Corte di merito, ossia, si era legittimamente avvalsa del complesso delle "risultanze documentali delle intercettazioni depositate in atti e acquisite dalla autorità giudiziaria penale".

Inoltre, in base ad accertamento probatorio non sindacabile in sede di legittimità, aveva ritenuto che "la volontarietà della condotta" fosse ampiamente dimostrata.

Condotta contraria a codice etico e norme di legge: recesso proporzionato

Per quanto riguarda il profilo della proporzionalità, la Cassazione ha evidenziato che i giudici di gravame avevano fatto riferimento ad un complesso quadro normativo e contrattuale-collettivo per concludere che, nella specie, "la misura espulsiva è legittima e proporzionata".

Nel dettaglio, la Corte d'appello aveva considerato che il ricorrente, con il suo comportamento, aveva violato le norme del codice etico aziendale.

Senza contare che il fatto materialmente commesso concretava gli estremi del reato di accesso abusivo a sistema informatico e telematico, per come previsto dall'art. 615 ter c.p., e che la stessa condotta rappresentava un grave inadempimento dei doveri del dipendente.

Questi, infatti, quale addetto allo sportello, non poteva interrogare il sistema informatico aziendale senza il consenso dell'avente diritto.

Il ricorrente, in definitiva, aveva violato dolosamente norme di legge, regolamenti aziendali e doveri di ufficio dell'incaricato di pubblico servizio, arrecando un forte pregiudizio alla società datrice di lavoro sul piano del danno all'immagine e alla clientela.

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