Trasferimento sede lavorativa, licenziamento se il dipendente non si presenta

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Trasferimento sede lavorativa, licenziamento se il dipendente non si presenta

In ipotesi di trasferimento ad altra sede lavorativa adottato, dal datore di lavoro, in violazione dell'art. 2103 c.c., l'inadempimento datoriale non legittima, automaticamente, il rifiuto del lavoratore ad eseguire la prestazione, ma dovrà pur sempre essere valutato in relazione alle circostanze concrete, onde verificare se risulti contrario a buona fede.

Trasferimento contra legem: il lavoratore non può automaticamente rifiutare la prestazione

Difatti, il trasferimento contra legem, ossia disposto in assenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, non giustifica in via automatica il rifiuto del lavoratore all'osservanza del provvedimento e, quindi, la sospensione della prestazione lavorativa.

Vertendosi in ipotesi di contratto a prestazioni corrispettive, trova applicazione il disposto dell'art. 1460, comma 2, c.c. alla stregua del quale la parte adempiente può rifiutarsi di eseguire la prestazione a proprio carico solo ove tale rifiuto, avuto riguardo alle circostanze concrete, non risulti contrario alla buona fede.

Sono i principi, ormai consolidati, enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, per come richiamati dalla Corte di cassazione con sentenza n. 7392 del 7 marzo 2022, pronunciata in relazione ad una causa che verteva sulla legittimità o meno di un licenziamento disciplinare.

Nella specie, il recesso era stato intimato ad una lavoratrice, previa contestazione disciplinare per assenza ingiustificata dal lavoro, non avendo la stessa preso possesso presso la sede dove era stata trasferita.

Recesso illegittimo se il datore omette il preventivo contraddittorio col dipendente

Il licenziamento era stato ritenuto illegittimo, con applicazione della tutela indennitaria, alla luce della violazione operata dal datore di lavoro che aveva omesso il contraddittorio preliminare con la dipendente, avendo considerato tardive le giustificazioni avanzate dalla stessa, scritte tempestivamente ma pervenute oltre cinque giorni.

Tale violazione, secondo i giudici di gravame, aveva natura meramente procedurale tanto da comportare l'applicazione della tutela indennitaria e non di quella reitegratoria.

Confermando tali conclusioni, la Cassazione ha richiamato il principio secondo cui, in tema di licenziamento disciplinare, la violazione dell'obbligo del datore di lavoro di sentire preventivamente il lavoratore a discolpa, quale presupposto dell'eventuale provvedimento di recesso, integra una violazione della procedura di cui all'art. 7 Statuto dei lavoratori e rende operativa la tutela indennitaria prevista dal successivo art. 18, comma 6.

Gli Ermellini, in definitiva, hanno giudicato coerente e corretta la decisione con cui la Corte d'appello aveva dichiarato risolto il rapporto di lavoro a decorrere dalla data del licenziamento, condannando la società datrice al risarcimento del danno nei confronti della lavoratrice, mediante pagamento di una indennità risarcitoria pari a sei mensilità della retribuzione globale di fatto.

L'inottemperanza del lavoratore può giustificare il licenziamento

Sempre la Suprema corte, con la recente ordinanza n. 4404 del 10 febbraio 2022, ha ribadito i principi sopra richiamati in tema di trasferimento adottato in violazione dell'art. 2103 c.c., precisando, altresì, che l'inottemperanza del lavoratore al provvedimento di trasferimento illegittimo dovrà essere valutata, sotto il profilo sanzionatorio, alla luce del disposto dell'art. 1460, comma 2, c.c.

Nei contratti a prestazioni corrispettive - viene così ricordato - la parte non inadempiente non può rifiutare l'esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede.

La relativa verifica dovrà essere condotta "sulla base delle concrete circostanze che connotano la specifica fattispecie", nell'ambito delle quali si potrà tenere conto, in via esemplificativa e non esaustiva:

  • dell'entità dell'inadempimento datoriale in relazione al complessivo assetto di interessi regolato dal contratto;
  • della concreta incidenza del detto inadempimento datoriale su fondamentali esigenze di vita e familiari del lavoratore;
  • della puntuale e formale esplicitazione delle ragioni tecniche, organizzative e produttive alla base del provvedimento di trasferimento;
  • dell'incidenza del comportamento del lavoratore sulla organizzazione datoriale e, più in generale, sulla realizzazione degli interessi aziendali.

Tali elementi - conclude la Corte - dovranno essere considerati nell'ottica del bilanciamento degli opposti interessi in gioco, anche alla luce dei parametri costituzionali di cui agli artt. 35, 36 e 41 Cost., mediante verifica rimessa all'esame del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità oltre i ristretti limiti in cui può esserlo ogni apprezzamento di merito. 

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