Transazione e inadempimento della parte datoriale
Pubblicato il 12 settembre 2014
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L’azienda Gamma conclude con il lavoratore Tizio e innanzi all’organizzazione sindacale un accordo transattivo inerente al mancato pagamento delle retribuzioni e del TFR. La corresponsione della somma viene rateizzata con l’espressa previsione che il mancato pagamento anche di una sola rata comporta la risoluzione di diritto del patto. Tizio così si rivolge alla DTL competente chiedendo accertamenti sul punto e l’eventuale adozione dei provvedimenti di competenza.
La transazione: cenni
Ai sensi dell’art. 1965 c.c. la transazione è il contratto con il quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già incominciata o prevengono una lite che potrà sorgere tra di loro. Si tratta uno strumento, non obbligatorio, nella disponibilità delle parti interessate volto a risolvere, con reciproche concessioni, un contrasto fra pretese di diverso tenore. Pertanto è un negozio a titolo oneroso, non aleatorio ma commutativo. Le dichiarazioni rilasciate in sede transattiva non sono assistite animus confitendi (intenzione di confessare), dal momento che non sono fini a se stesse, ma piuttosto sono strumentali rispetto al raggiungimento dello scopo rappresentato dal componimento della lite. Tuttavia la S.C. ha recentemente osservato che “nel contenuto complessivo di una transazione può distinguersi anche un momento accertativo della situazione di fatto preesistente, e in tal caso le relative dichiarazioni di scienza hanno valore confessorio, a condizione, tuttavia, che esse costituiscano concordi premesse - di natura ricognitiva di situazioni fattuali o di situazioni giuridiche considerate, però, “sub specie facti” - aventi ad oggetto i precedenti rapporti di reciproco dare e avere sui quali la transazione avrebbe dovuto incidere con effetto modificativo”.
La transazione può dirsi validamente conclusa nell’ipotesi in cui da un lato ha per oggetto una res dubia, e dunque cade su un rapporto giuridico avente, almeno nell’opinione delle parti, carattere di incertezza e, dall’altro, i contraenti si fanno reciproche concessioni nell’intento di far cessare la situazione di dubbio. L’oggetto della transazione, pertanto, è la lite , non è il rapporto o la situazione giuridica cui si riferisce la discorde valutazione delle parti, ma la lite che le parti stesse intendono eliminare mediante le reciproche concessioni.
Conciliazione e transazione: differenze
La transazione si distingue dalla conciliazione per plurime ragioni. In primis la transazione è risultato della volontà negoziale delle parti e generalmente non richiedente l’intervento di un terzo, che invece è spesso presente nelle conciliazioni. In secundis la transazione postula reciproche concessioni delle parti, quando invece il componimento conciliativo può consistere, oltre che in ciò, anche in una rinuncia alla propria pretesa, o in un riconoscimento unilaterale della pretesa altrui. Tertium l’accordo transattivo ha effetti prevalentemente, se non esclusivamente, sostanziali, mentre la conciliazione può produrre anche effetti processuali (perché pone fine a giudizi pendenti) o amministrativi (perché evita attività ispettive id est conciliazione monocratiche) e avere valenza di titolo esecutivo.
Un aspetto che invece accomuna la conciliazione e la transazione è che in ambito lavoristico tali accordi, allorché abbiano ad oggetto disposizioni inderogabili di legge o di contratti collettivi, sono sottoposte ai limiti di cui all’art. 2113 c.c. e pertanto, ove non risultano conclusi con l’assistenza sindacale, hanno un regime di validità menomato. Sotto tale aspetto occorre osservare che la transazione non va confusa con la quietanza di pagamento, atteso che quest’ultima è rilasciata dal creditore ed ha natura di atto unilaterale recettizio contenente il riconoscimento dell’avvenuto pagamento, con la conseguenza che, di regola, non è legittimo desumere, dal suo rilascio, l’esistenza di una volontà transattiva o di rinuncia ad altre pretese da parte del creditore. Tale significato può semmai essere evinto solo se emergano dal complessivo contenuto elementi di fatto, che facciano ritenere che alla base del documento vi sia una volontà delle parti volta a transigere una querelle.
Transazione semplice e transazione novativa
Occorre poi distinguere la transazione semplice da quella novativa. Si ha transazione semplice quando le parti si limitano a modificare alcuni aspetti del rapporto preesistente, il quale, non avendo formato oggetto di considerazione, permane immutato. Per il tramite della transazione novativa invece le parti conseguono l’estinzione integrale del precedente rapporto, il quale viene sostituito con quanto scaturisce dall’accordo transattivo. All’uopo la S.C. ha statuito che “la transazione può avere efficacia novativa quando risulti una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello originato nell’accordo transattivo, di guisa che dall’atto sorgano reciproche obbligazioni oggettivamente diverse da quelle preesistenti”.
Il caso concreto
Ricostruite in breve le linee teoriche dell’Istituto si può passare ad esaminare la vicenda che occupa osservando che l’azienda Gamma ha concluso con il lavoratore Tizio e innanzi all’organizzazione sindacale un accordo transattivo inerente al mancato pagamento delle retribuzioni e del TFR. La circostanza che l’accordo sia stato concluso con l’assistenza del sindacato sottrae la fattispecie dal portato applicativo dell’art. 2113.c.c, sempre che, ben si intende, l’attività sindacale sia stata effettiva e non meramente formale. Nell’accordo è stato pattuito che la corresponsione della somma dovesse essere rateizzata, includendo altresì l’espressa previsione che il mancato pagamento anche di una sola rata avrebbe comportato la risoluzione di diritto del patto. Ebbene, tale condizione si è verificata concretamente, perché Gamma dopo aver saldato il pagamento delle prime rata è rimasta inadempiente. L’avverarsi della condizione ha comportato dunque la risoluzione del contratto transattivo senza che a tal fine occorra la pronunzia giudiziale. Mediante tale clausola infatti i contraenti hanno valutato anticipatamente quali conseguenze far discendere dall’inadempimento: la risoluzione del contratto, con conseguente e inevitabile reviviscenza del credito originario maturato dal Tizio per le mensilità oggetto della transazione ormai risolta, detratte ovviamente le somme nelle more già percepite dal dipendente. Sul piano ispettivo, con la verifica gli ispettori potranno prendere atto della risoluzione e adottare un provvedimento di diffida accertativa per gli importi risultanti dalla differenza tra quanto percepito da Tizio in virtù della transazione poi risolta e le retribuzioni maturate dal medesimo dipendente per il periodo oggetto di accordo, oltre agli eventuali provvedimenti sanzionatori.
NOTE
i Cass. civ. Sez. II, 06-02-2009, n. 3033.
ii Cass. civ. Sez. II, 25/10/2013, n. 24164.
iii Cass. civ. Sez. III, 28/05/2013, n. 13189.
iv Cass. civ. Sez. III, 14-07-2011, n. 15444.
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