TFR a previdenza complementare, cosa conviene al datore di lavoro

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TFR a previdenza complementare, cosa conviene al datore di lavoro

In occasione della sottoscrizione di un contratto di lavoro, il dipendente può decidere, mediante la compilazione del modello TFR2, se destinare o meno il proprio trattamento di fine rapporto ad una forma pensionistica complementare.

Le forme pensionistiche complementari, oltre a garantire al lavoratore una maggiore tutela pensionistica, consentono al datore di lavoro di abbattere – seppur lievemente – il costo del lavoro annualmente sostenuto mediante il godimento di una riduzione sul reddito d’impresa pari al 6% o al 4%, rispettivamente per le imprese fino a 49 dipendenti e oltre 50 dipendenti, oltreché dell’esonero dell’aliquota contributiva pari allo 0,20% destinata al finanziamento del Fondo di Garanzia INPS.

Si aggiunga, altresì, che laddove il trattamento di fine rapporto venga destinato sin dall’inizio del rapporto di lavoro a forme di previdenza complementare, il datore di lavoro non sarà tenuto ad effettuare alcuna rivalutazione essendo il fondo TFR dell’anno precedente pari a zero.

Il trattamento di fine rapporto

Il trattamento di fine rapporto rientra appieno tra le voci retributive c.d. differite ovverosia quegli emolumenti che maturano nel corso di un determinato periodo e la cui corresponsione viene posticipata ad un momento successivo rispetto a quello di realizzazione della prestazione.

Stando alle disposizioni dell’art. 2120, Codice Civile, il trattamento di fine rapporto spetta al lavoratore subordinato in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro ed è pari ad una quota, per ciascun anno di servizio, determinata nella misura della retribuzione dovuta per l’anno stesso divisa per 13,5.

Come però specificato dall’ultimo periodo del primo comma, la quota deve essere proporzionalmente ridotta per frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni, talché è possibile affermare che la maturazione del trattamento di fine rapporto avviene, sostanzialmente, mensilmente.

NOTA BENE: Si rammenta che la retribuzione da assumere come base per il calcolo del trattamento di fine rapporto, salvo diversa disposizione dei contratti collettivi, comprende tutte le somme, ivi incluse le prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro a titolo non occasionale e con esclusione di quanto percepito dal lavoratore a titolo di rimborso spese.

Ai sensi del quarto comma, del medesimo art. 2120, Codice Civile, il trattamento di fine rapporto accantonato dal datore di lavoro deve essere rivalutato annualmente entro il 31 dicembre nella misura determinato su base composta pari all’1,5% in misura fissa e dal 75% dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, accertato dall’ISTAT, rispetto al mese di dicembre dell’anno precedente.

A tal fine, dunque, le quote di TFR accantonate al 31 dicembre dell’anno precedente devono essere costantemente rivalutate secondo gli indici, in una componente fissa e una variabile, individuati dal Codice Civile.

Si rammenta che sulla rivalutazione del TFR è dovuta l’imposta sostitutiva determinata nella misura del 17% da versare in acconto entro il 16 dicembre di ogni anno e a saldo entro il 16 febbraio dell’anno successivo al periodo di riferimento.

Destinazione del TFR alla previdenza complementare

Come anticipato, i lavoratori dipendenti, pubblici e privati, all’atto dell’instaurazione del rapporto di lavoro possono decidere, irrevocabilmente ed entro il termine di 6 mesi dalla data di assunzione, di destinare il proprio trattamento di fine rapporto maturando a forme pensionistiche complementari.

ATTENZIONE: La scelta di destinare il TFR ad un fondo di previdenza complementare è irrevocabile. Ciò sta a significare che, una volta prescelto il fondo desiderato il lavoratore non potrà più modificare tale scelta durante il rapporto di lavoro. Diversamente avviene invece nelle ipotesi in cui si scelga di accantonare il TFR presso il proprio datore di lavoro in quanto tale scelta potrà essere in ogni momento modificata, fermo restando che l’eventuale smobilizzo delle quote di TFR pregresso da azienda a fondo di previdenza complementare dovrà necessariamente essere eventualmente accordato con il datore di lavoro.

In mancanza di una scelta esplicita, tra destinazione a previdenza complementare e accantonamento in azienda, opererà un meccanismo di silenzio-assenzo a mente del quale il trattamento di fine rapporto verrà destinato al fondo di previdenza complementare stabilito dal contratto collettivo nazionale applicato al rapporto di lavoro ovvero, nelle ipotesi in cui insistano più fondi, presso quella forma di previdenza complementare a cui siano iscritti più lavoratori.

Nei casi di modifica del rapporto di lavoro in essere, con cessazione ed eventuale riassunzione presso altro datore di lavoro, il lavoratore potrà riscattare quanto versato al fondo di previdenza complementare ovvero mantenere le somme accantonate o trasferirle ad un nuovo fondo.

Nella scelta del fondo pensione a cui aderire, il lavoratore dovrà eventualmente valutare se sussistono contributi a carico del lavoratore o del datore di lavoro che implementino la posizione pensionistica complementare dello stesso, i rendimenti e gli eventuali costi e condizioni applicati.

TFR a previdenza complementare, risparmio per il datore di lavoro

La scelta di destinare il trattamento di fine rapporto ad una forma pensionistica complementare assicura vantaggi fiscali e contributivi al datore di lavoro, seppur comporta una riduzione della liquidità derivante dal versamento degli accantonamenti del trattamento di fine rapporto.

La prima tra le misure compensative è individuabile nell’art. 10, decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, a mente del quale dal reddito di impresa è deducibile un importo pari al:

  • 4% dell’ammontare del TFR annualmente destinato a forme pensionistiche complementari per le imprese con oltre 50 addetti;
  • 6% dell’ammontare del TFR annualmente destinato a forme pensionistiche complementari per le imprese con meno di 50 addetti;

In base al secondo comma, poi, il datore di lavoro è altresì esonerato dal versamento del contributo al Fondo di Garanzia di cui all’art. 2, legge 29 maggio 1982, n. 297, pari allo 0,20% della retribuzione annua lorda, nonché della riduzione degli oneri c.d. impropri correlati al flusso di TFR maturando conferito, nei limiti e secondo quanto stabilito dal d.l. 203/2005.

NOTA BENE: Le predette riduzioni contributive vanno esposte sulla colonna a credito del DM10 rispettivamente con i codici TF01 e TF13. Si evidenzia che le stesse potranno essere utilizzate a credito esclusivamente nel caso in cui l’azienda abbia provveduto a versare le quote di TFR maturato al fondo. 

Come precisato dalla nota 17 febbraio 2020, n. 1436, i datori di lavoro che non abbiano provveduto a versare il contributo al fondo di previdenza complementare e che abbiano comunque ridotto il proprio onere contributivo, commetteranno un illecito che non consentirà di godere delle agevolazioni contributive seppur limitatamente con riferimento al dipendente e per il periodo in cui si sia verificata la violazione.

A tali riduzioni del costo del lavoro vi è, infine, il risparmio rispetto alla rivalutazione del trattamento di fine rapporto secondo gli indici previsti dal codice civile su base composta (1,5% in misura fissa + 75% della differenza degli indici Istat rispetto al mese di dicembre dell’anno precedente).

Esempio pratico

Si fornisce di seguito un esempio di convenienza su un caso pratico.

 Azienda con 15 dipendenti con retribuzioni totali annue pari a 380.000 euro.

La quota TFR annua ammonta a  28.140 euro.

Misura

TFR in azienda

TFR a fondo pensione

Deduzione IRES (6%)

€ 0,00

€ 405,21 (-)

Fondo di Garanzia

€ 760,00 (+)

€ 0,00

Rid. Oneri sociali

€ 0,00

€ 1.064,00 (-)

Rivalutazione annua (2,0%)

€ 562,80 (+)

€ 0,00

Totale

€ 1.322,80 (+)

€ 1.469,21 (-)

Saldo a favore

€ 2.792,01

 

QUADRO NORMATIVO

Decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252

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